Zuckerberg: ‘Colpa mia, rimedieremo’. Prima class action negli Usa
New York – “Sono responsabile di quello che è successo”. Nel giorno della prima class action contro Facebook negli Stati Uniti, Mark Zuckerberg ha rotto il silenzio sullo scandalo dei dati personali raccolti su Facebook. “Abbiamo la responsabilità di proteggere le vostre informazioni, e se non riusciamo a farlo non meritiamo di essere al vostro servizio” ha scritto in un post sulla sua pagina Facebook. L’azienda, ha aggiunto, sta lavorando “per capire esattamente cosa sia successo e assicurarsi che non accada mai più. La buona notizia – ha aggiunto – è che molte misure per prevenire tutto questo sono state già prese anni fa”. Se Facebook ha perso 50 milioni in Borsa, il danno più grave resta quello di immagine, e la perdita di fiducia da parte degli utenti, i cui dati sono stati utilizzati per fini politici. Nel mirino la gestione della privacy troppo lassista, almeno fino al 2015. Ed è su questo punto che insistono i promotori della causa collettiva avanzata presso la Corte distrettuale federale di San José, a due passi dalla Silicon Valley. A rafforzare il possibile legame tra il datagate di Facebook e l’elezione di Trump c’è anche la storia raccontata da Chris Wylie, la talpa che con le sue rivelazioni ha provocato il terremoto. Per l’ex dipendente di Cambridge Analytica, intervistato dal ‘Washington Post’, il programma per la raccolta di dati su Facebook fu avviato nel 2014 dalla sua ex società sotto la supervisione di Steve Bannon, l’ex stratega politico di Trump. Fu dunque l’allora numero uno di Breitbart News – entrato nel board di Cambridge Analytica e divenutone vicepresidente – la mente di tutto. Tre anni prima del suo incarico alla Casa Bianca, Bannon cominciò a lavorare a un ambizioso progetto: costruire profili dettagliati di milioni di elettori americani su cui testare l’efficacia di molti di quei messaggi che furono poi alla base della campagna elettorale di Trump. Fu sempre Bannon a far avere a Cambridge Analytica, dove rimase fino all’agosto 2016, i finanziamenti dei suoi ricchi sostenitori, a partire dalla famiglia miliardaria dei Mercer.