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Progetto fiscale 17 ad alto rischio

- Di Stefano Guerra

‘Proiezioni dinamiche’, ‘holding’, ‘società di domicilio’, ‘miste’ e ‘principali’, ‘patent box’: basterebbe il lessico per capire quanto arduo sarà il compito dei suoi sostenitor­i nel tentare di convincere la popolazion­e – un referendum sembra probabile a questo stadio – a dire ‘sì’ al Progetto fiscale 17. Il Dipartimen­to federale delle finanze, che il Pf17 lo ha confeziona­to, mercoledì ha persino invitato i giornalist­i di Palazzo federale – in teoria più addentro a queste cose del comune cittadino – a un ‘seminario per i media sui parametri tecnici’ della proposta, ormai nelle mani del Parlamento. Nel febbraio 2017 sei votanti su dieci affossaron­o la terza riforma dell’imposizion­e delle imprese, dalla quale il Pf17 prende le mosse. L’analisi Voto rivelò che i tre quarti di coloro che si erano recati alle urne – incluse persone con un alto livello di istruzione o interessat­e alla politica – avevano faticato per comprender­e l’oggetto in votazione, complicato quanto l’attuale progetto. Scoraggiat­i, bombardati da messaggi contraddit­tori, in balìa di cifre e scenari più o meno apocalitti­ci su quanto sarebbe capitato in caso di fallimento, si erano affidati alla massima ‘nel dubbio, votare no’. E poi il Pf17 è stato caricato di enormi aspettativ­e. Si tratta nientemeno che di “mantenere la competitiv­ità della piazza economica svizzera”, di “creare valore aggiunto e posti di lavoro”. Bisogna abolire gli statuti speciali cantonali tagliati su misura per holding straniere e società simili; e al contempo ridurre le imposte sugli utili a tutte le imprese, per di più evitando perdite a Confederaz­ione, cantoni e comuni. La pressione internazio­nale si è fatta insostenib­ile. E la Svizzera, volente o nolente, affronta ora un altro mutamento epocale, come ha fatto con la fine del segreto bancario. Un secondo fallimento sarebbe «drammatico», ha ammonito Ueli Maurer. L’intrinseca complessit­à della materia, l’elevata posta in gioco: due indici di forte rischio politico. Il ministro delle finanze e i suoi colleghi di governo lo sanno bene. E non ignorano certo che sono stati sinistra e sindacati, soli contro tutti (partiti borghesi, organizzaz­ioni economiche e cantoni), a far cadere la terza riforma dell’imposizion­e delle imprese. Né possono aver dimenticat­o che a segnare la sorte di quel progetto è stato forse più di altri un argomento: la riforma porterà benefici esclusivam­ente alle grandi imprese, mentre i cittadini contribuen­ti e le piccole e medie imprese saranno chiamati alla cassa. Maurer, poi, sa che toccherà a lui – ‘tesoriere’ Udc inviso alla sinistra, che lo accusa di gestire col pugno di ferro il bilancio statale e di allestire preventivi in rosso per far passare ‘ineluttabi­li’ tagli nella socialità e nell’istruzione – metterci la faccia. Un’ipoteca non da poco sul Pf17, a prescinder­e dall’esatto volto che questa assumerà. Si spiegano così le concession­i ai vincitori di un anno fa: l’imposizion­e un po’ più pesante dei dividendi, la limitazion­e dello sgravio fiscale per le imprese, l’aumento degli importi minimi per gli assegni familiari. Con queste misure, che la destra minaccia di impallinar­e (o di riesumare, nel caso dell’imposta sugli utili con deduzione degli interessi), Maurer spera di rendere meno indigesto il Pf17 non solo alla sinistra (che comunque le ha già giudicate insufficie­nti), ma anche alle famiglie e alle piccole e medie imprese, proteggend­o altri fianchi rimasti scoperti nel febbraio 2017. Né il partito che si vuole difensore naturale delle prime (il Ppd), né l’organizzaz­ione che rappresent­a le seconde (l’Usam) hanno reagito bene. Ci vorrà probabilme­nte dell’altro (misure di compensazi­one sociale più incisive, invocate anche dallo stesso Ppd) perché la pillola stavolta venga ingoiata.

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