Duecento palleggi
Momenti di lettura / Peppe Fiore, ‘Dimenticare’, Einaudi
Due fratelli, Franco e Daniele, un passato che si vuole dimenticare ma con il quale è impossibile non fare i conti. Il secondo romanzo, dopo il fortunato esordio con ‘La futura classe dirigente’, di Peppe Fiore.
Febbraio 1995. Una Maserati nera si ferma a notte fonda sullo spiazzo di erbacce adibito a parcheggio dietro lo stadio Pietro Desideri di Fiumicino. Ne vengono spinti fuori, di malagrazia, Franco e suo fratello Daniele. I due scagnozzi che stavano alla guida fanno scattare il lucchetto che chiude uno dei cancelli dell’impianto sportivo e li conducono sul terreno di gioco. Li aspetta Gettone, il boss conosciuto in tutto il litorale, cui Franco, in ritardo col pagamento, deve otto milioni di lire. È pronto a concedergli una settimana in più, a condizione che il debitore, un passato da calciatore in Serie C nel Civitavecchia, gli faccia duecento palleggi; altrimenti i due fratelli finiranno sotterrati a centrocampo. Franco, imbolsito dai chili e dalle Marlboro, con la giacca da coatto e i mocassini troppo costosi, inizia a palleggiare. Daniele prega in silenzio. Al duecentesimo tocco, la faccia deformata dalla fatica, Franco stramazza ansante e felice al suolo, mentre nel silenzio dello stadio si sentono solo gli applausi divertiti di Gettone. Sette anni dopo questo bellissimo prologo, ritroviamo Daniele alla stazioncina di Trecase, un piccolo paese di montagna tra Lazio e Abruzzo, dove accetta di rilanciare il ristorante ai piedi degli impianti sciistici, chiuso a seguito della morte, mai chiarita, di una bambina, qualcuno dice causata da un orso che si aggirerebbe nella zona. L’uomo, che ha simulato una fuga in Messico, è confrontato con un altro incidente, che vede come vittima un altro bambino, il figlio del guardiacaccia Cecconi. Passano altri tredici anni e Cristiano, il figlio di Franco, si presenta alla porta di Daniele, che ora non potrà più ignorare il suo passato. Solo l’epilogo, dopo duecento pagine, tante quante i palleggi con cui Franco aveva aperto il romanzo, scioglierà tutti i nodi accumulatisi lungo la narrazione, a cominciare dal terribile motivo della fuga di Daniele.
Una geografia fisica
ed emotiva
Sono passati otto anni da ‘La futura classe dirigente’, il romanzo d’esordio che aveva permesso a Peppe Fiore di illustrarsi come uno dei giovani narratori più promettenti, e non a caso pubblicato nell’eccellente collana “nichel” di minimum fax. Proprio dal lavoro di sottrazione operato su quell’opera credo sia possibile misurare la maturità raggiunta dallo scrittore in quest’ultima prova. A partire dal piano, sempre cruciale, della lingua, qui più sorvegliata e meno aperta al registro brillante, e capace pertanto di rendere più incisivi i rari brandelli descrittivi che si cristallizzano attorno alla vicenda principale dell’espiazione di Daniele. Non più, quindi, il tentativo, benché parziale, di costruire un affresco del Paese agli inizi degli anni Duemila, ma la ricerca e la valorizzazione del dettaglio emblematico e paradigmatico. Penso alle trasformazioni del litorale di Fiumicino, rese attraverso la vicenda del lido gestito dalla famiglia di Franco e Daniele, poi andato in malora e rilanciato da altri; al capannone del negozio di biliardi affacciato sull’autostrada fuori Roma che Daniele mostra a Eleonora, la maestra elementare di Trecase, e che diviene una sorta di metafora del rapporto tra i due fratelli; o, ancora, alla stanza dello squallido hotel accanto all’aeroporto di Fiumicino, simbolo della provvisorietà e della precarietà della vita del protagonista. Fiore disegna una geografia fisica ed emotiva molto vicina a quella che caratterizza un altro romanzo einaudiano di recente pubblicazione come ‘Il giro del miele’ di Sandro Campani: due paesini di montagna, in opposizione ai fondovalle urbanizzati; due boschi che accolgono i personaggi principali e i loro fantasmi; due animali che vi si aggirano: là la lince, qui l’orso, cui è dedicata l’ultima riga del romanzo.