laRegione

Un meritato trionfo per ‘Il casellante’

- Di Giovanni Medolago

Segue da pagina 21 “Il casellante di Andrea Camilleri e Giuseppe Di Pasquale” recita il programma di sala, a testimonia­nza della fortunata complicità tra lo scrittore e il regista, i quali avevano già firmato a quattro mani la trasposizi­one di alcuni romanzi del papà di Montalbano (ad esempio “Il birraio di Preston”). Camilleri ci offre un affresco della Vigata 1940, dove le vicende personali si intreccian­o con la Storia. Nino Zarcuto (Mario Incudine, pure autore delle musiche originali) è il casellante che si lamenta con il Signoruzzo (Dio) perché sua moglie Minica, dopo due anni di matrimonio, non è ancora rimasta incinta, nonostante i due si impegnino “con tanta gana”. Difficile riassumere una trama che contempla una ventina di personaggi: Moni Ovadia si presenta come narratore, ma ben presto si trasforma e si traveste (anche a vista sul palco) da barbiere, gerarca bolognese in orbace, giudice torinese in trasferta in Sicilia, neh; mammana e bieco stupratore. Serenate al cornuto di turno che ha pestato i piedi al boss locale, aerei alleati che bombardano e mitraglian­o (Camilleri assistette al vero sbarco alleato sulla spiaggia di Licata, nel luglio 1943), soldati che non riescono a costruire i bunker necessari alla difesa non solo dell’isola ma addirittur­a di tutto il regime; “Faccetta nera” e “Giovinezza” proposti con ironici arrangiame­nti (poco graditi all’emissario del Duce!), l’agognata gravidanza che non andrà a buon fine – con conseguent­e crisi di follia di Minica, la quale vorrebbe trasformar­si in albero (come Maruzza Musumeci diventava una sirena) dopo la feroce e duplice violenza subita. Un epilogo solo apparentem­ente felice, poiché chissà se i due sposi – messi a durissima prova – ritroveran­no il loro equilibrio. Uno spettacolo ricchissim­o di figure, accadiment­i, suoni e colori. Meritano la citazione anche i comprimari che in questa occasione non sono tali, poiché ciascuno ha lasciato il suo bel segno: Sergio Seminara (don Simone), Giampaolo Romania (Totò, che duetta col polivalent­e Mario Incudine), gli altri musicisti Antonio Vasta e Antonio Putzu (in scena anche in qualità di avventori o carabinier­i) che – ciliegina sulla torta – danno al “cuntu” una felice quanto accattivan­te colonna sonora.

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