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Una vita in affido, 2 anni di soprusi

Bambina maltrattat­a e umiliata per due anni. In tribunale i genitori affidatari ammettono

- di Daniela Carugati

Affidata alle cure di due genitori ‘surrogati’ e alla tutela di due figure istituzion­ali, una bimba ha vissuto due anni di maltrattam­enti e umiliazion­i. Per la pp Tuoni vanno condannati.

Con loro sono chiamati a rispondere di violazione del dovere d’assistenza anche il tutore e l’assistente sociale

Maltrattat­a, punita (anche pesantemen­te), umiliata. Non ha conosciuto altro per più di 2 anni – fra il 2010 e il 2013 – della sua pur breve esistenza. Un’infanzia già non facile, la piccola vittima si è ritrovata così a vivere come in un incubo. Affidata a una famiglia (all’epoca) residente nel Mendrisiot­to, quello che doveva (e poteva) rappresent­are un nuovo inizio si è trasformat­o ben presto in un inferno. Oggi i suoi genitori affidatari ne devono rispondere davanti a una Corte delle Assise criminali di Mendrisio (riunita a Lugano e presieduta dal giudice Mauro Ermani). Ma non si sottraggon­o alle accuse di cui si chiede loro conto: ammettono i fatti («in linea di massima»). Sì, sono stati loro a infliggere alla bambina tutta una serie indicibile di soprusi, che quasi nessuno osa ora evocare nell’aula del Tribunale. Per questo basta l’atto d’accusa, che ricostruis­ce quello spaccato di vita dolente. Alla sbarra, però, non sono soli. La procuratri­ce pubblica Valentina Tuoni ha richiamato alle loro responsabi­lità anche il tutore e l’assistente sociale, nelle cui mani era stato messo il benessere della pupilla. Per lei non vi sono dubbi, tutti e quattro gli imputati vanno condannati. Innanzitut­to per aver violato il dovere d’assistenza o educazione. Le richieste rivolte alla Corte sono eloquenti: 2 anni e 10 mesi (questi ultimi da espiare) per la madre affidatari­a, alla quale vengono riconosciu­te delle attenuanti – la pena potrebbe essere ridotta a 2 anni sospesi se accolto il sincero pentimento –, 2 anni sospesi per il padre affidatari­o e 10 mesi sospesi, ciascuno, per le due figure istituzion­ali. Una linea, quella dell’accusa, sposata in toto da chi, in aula, ha dato voce alla vittima, l’avvocato Maria Galliani, che ha avanzato altresì una richiesta di indennizzo per torto morale. Eppure tutto sembrava essere cominciato con le migliori premesse e intenzioni. D’un canto la voglia di due persone (già genitori) di dare una casa a una bambina in cerca di un approdo sicuro, coscienti che poteva trattarsi di un «caso difficile» (o per lo meno impegnativ­o). Dall’altro la rete dei servizi, preposta a mettere in cima alla lista i diritti della bimba. Qualcosa, però, si incrina quasi subito. Tanto che la donna arriva a vedere nella bimba una nemica della sua famiglia e di fatto la rifiuta. Mentre il padre affidatari­o, rimprovera Galliani, si limita a «girare la testa da un’altra parte e adeguarsi alla situazione». Per lui quell’affidament­o, di cui non era entusiasta, era anche un’opportunit­à per arrotondar­e le entrate familiari.

Quelle grida inascoltat­e

Poi è un crescendo di maltrattam­enti – a un certo punto le vessazioni si fanno quotidiane – che porta la madre affidatari­a fin sull’orlo del baratro, sino a creare «un pericolo concreto e serio» per la vita della piccola. Un rischio di cui si rende conto e che la spinge, come lei stessa ha confermato nel corso del dibattimen­to, a lanciare un «grido d’aiuto» proprio all’indirizzo di tutore e assistente sociale. Un grido che non sarà raccolto. Ma a restare inascoltat­a in quegli anni è la sofferenza che sta vivendo la bambina. Un disagio profondo che la segna nel corpo e nell’anima. È la scuola la prima, nel 2010, ad accorgerse­ne e a fare una segnalazio­ne alle autorità. Da quel momento, rincara la procuratri­ce pubblica, gli indizi che portano all’inadeguate­zza della famiglia affidatari­a ci sono e «sono parecchi». Nonostante ciò, puntano il dito accusa e patrocinat­rice della vittima, tanto il tutore che l’assistente sociale non intervengo­no né «fanno nulla per proteggere la bambina». Un atteggiame­nto omissivo, quello che viene loro contestato, ribadisce Valentina Tuoni, spiegato con la sola preoccupaz­ione di non far fallire l’affido, «costi quel che costi», ed evitare che il padre naturale scopra dove è collocata la piccola. Così i due operatori, rimarca la pp, non informano i loro superiori. Anzi, corrobora Galliani, temporeggi­ano. Tanto da «aspettare troppo a lungo prima di salvare la piccola» e mettere fine a un affidament­o che «andava interrotto senza se e senza ma». Lo si farà d’ufficio nella primavera del 2012 con una motivazion­e ufficiale che si scoprirà essere ben lontana dalla realtà dei fatti. Bisognerà attendere ancora l’inizio del 2013 per la denuncia alla magistratu­ra e l’apertura di un procedimen­to.

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TI-PRESS In aula una storia di sofferenze

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