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‘Ready Player One’ di Spielberg il nostalgico

Nelle sale ‘Ready Player One’, film di Steven Spielberg tratto dall’omonimo best seller di Ernest Cline

- di Ivo Silvestro

In un’orgia di riferiment­i alla cultura pop degli Ottanta e Novanta, scopriamo Oasis, il mondo virtuale nel quale, nel 2045, l’umanità trova riparo dalle miserie della realtà. E dove lo spettatore trova effetti visivi spettacola­ri che lo riparano da una trama, e dei personaggi, fin troppo stereotipa­ti.

Se la realtà fa schifo, e ti ritrovi a vivere in quella che fondamenta­lmente è una futuristic­a baraccopol­i alla periferia di Columbus, Ohio, niente di meglio di un mondo virtuale nel quale poter essere, e fare, quello che si vuole. Il che poi, curiosamen­te, si riduce a un’epitome della cultura pop – e nerd – dagli anni Ottanta in avanti: King Kong, Gundam, Chucky la bambola assassina, Ritorno al Futuro, Freddy Krueger, Billy Idol, Lara Croft, Breakfast Club, Batman, Street Fighter, Star Trek, Shining (e altri riferiment­i ancora, compresi quelli inevitabil­mente sfuggiti al recensore), ovvero le passioni di James Halliday, l’eccentrico creatore di Oasis, questa gigantesca realtà virtuale alternativ­a nella quale tutta l’umanità vuole restare. “A parte per mangiare, dormire e andare al gabinetto” spiegherà il protagonis­ta, il giovane Wade Watts o, per chiamarlo con la sua identità virtuale, Parzival, il primo a riuscire a decifrare l’indizio lasciato, al momento della sua morte, da Halliday per scovare le tre chiavi ed ereditare la sua immensa fortuna e il controllo di Oasis. Una caccia al tesoro, o meglio all’Easter egg per dirla col gergo informatic­o, nella quale Parzival, e i suoi amici e alleati, dovranno vedersela con la malvagia IOI (che sta per Innovative Online Industries) diretta dall’altrettant­o malvagio Nolan Sorrento.

La guerra dei mondi

Si gioca tutto sulla contrappos­izione tra mondi, questo ‘Ready Player One’ di Steven Spielberg, trasposizi­one cinematogr­afica dell’omonimo romanzo di Ernest Cline (tradotto in italiano da Isbn e adesso ripubblica­to da DeA Planeta Libri) che ha anche collaborat­o alla sceneggiat­ura, riuscendo abbastanza bene a comprimere la narrazione nei 140 minuti del film (due ore e venti, sì, ma con la regia di Spielberg e il montaggio di Michael Kahn passano in un lampo). Da una parte il mondo virtuale, con i suoi colori saturi, i suoi ambienti di pura immaginazi­one, i suoi avatar; dall’altra il mondo reale che – è la scontata morale del film – sarà l’unico che conta davvero, ma ci viene presentato come buio, opaco. Ma non è l’unico contrasto che troviamo nel film. C’è infatti anche la contrappos­izione tra un futuro distopico, con le città devastate da inquinamen­to e sovrappopo­lazione e in cui una multinazio­nale cattiva (ovviamente la IOI) può mettere ai lavori forzati le persone indebitate, e un idealizzat­o e nostalgico passato composto di quelle icone degli anni Ottanta, Novanta e Duemila di cui si è già parlato – e che avranno costretto la produzione a fare i tripli salti mortali per gestire i diritti d’autore.

Mondo magico abitato da zombi

Soprattuto, c’è il contrasto tra un universo narrativo estremamen­te complesso e sfaccettat­o – e visivament­e incredibil­e, realizzato dallo scenografo Adam Stockhause­n con la Industrial Light & Magic di George Lucas – e una storia estremamen­te lineare e fiabesca. Il che va benissimo ed è anzi uno dei punti di forza del film. Quello che purtroppo non convince sono i personaggi, perché va bene essere in una fiaba con i buoni che fanno i buoni dall’inizio alla fine e i cattivi che fanno i cattivi dall’inizio alla fine, ma un minimo di spessore e di profondità psicologic­a potrebbero anche averli. Il che si ripercuote purtroppo anche sugli attori, perché se da una parte abbiamo interpreta­zioni notevoli che ben si adattano allo stile del film – Mark Rylance nei panni dello stralunato James Halliday, Simon Pegg (il socio di Halliday, Ogden Morrow) e Ben Mendelsohn, il cattivo Alan Sorrento –, dall’altra abbiamo i giovani eroi che sembrano prendersi troppo sul serio, soprattutt­o Tye Sheridan (Wade Watts/Parzival) e Olivia Cooke (Samantha Cook/Art3mis). “Un’avventura troppo grande per il mondo reale” è lo slogan del film. L’impression­e, a essere sinceri, è tuttavia di una avventura troppo semplice perché potesse funzionare solo nel mondo reale. Ma, tutto sommato, poco importa: nel finale abbiamo uno scontro tra Mechagodzi­lla e il Gigante di ferro.

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 ??  ?? Sopra, Tye Sheridan nell’avatar di Parzival. Sotto, Olivia Cooke nei panni di Samantha Cook e di Art3mis
Sopra, Tye Sheridan nell’avatar di Parzival. Sotto, Olivia Cooke nei panni di Samantha Cook e di Art3mis
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