Grande crescita grazie a frontalieri e nuovi residenti
In Ticino, però, è stata influenzata dall’aumento di frontalieri e residenti Presentato a Lugano lo studio dell’istituto Bak. Vola il Pil ma una parte dell’indotto se ne va altrove. Buone prospettive per rami come l’informatica.
«Io queste cose le dico da dieci anni ma nessuno mi crede...» Per Luca Albertoni, direttore della Camera di commercio del Canton Ticino «non ci sono grandi sorprese» nello studio dell’istituto di Bak economics sullo sviluppo dell’economia ticinese nel periodo 2005-20016 in rapporto al resto della Svizzera e alle nazioni circostanti. Un (bel) po’ di sorpresa la possono provare i ticinesi che, a digiuno di statistiche macroeconomiche, nel loro borsellino percepiscono una situazione ben diversa. In realtà lo studio attribuisce una parte rilevante del cosiddetto ‘Pil nominale pro capite’, cresciuto di un quarto in undici anni, che è legato all’aumento del lavoro frontaliero. Così mentre il Pil pro capite del 2016, 65’452 dollari, mette il Ticino in vetta alle classifiche internazionali, la cosiddetta ‘produttività nominale del lavoro’ vede i dati leggermente ridimensionarsi. In effetti, riferisce lo studio, «la salda crescita economica del Canton Ticino è ampiamente ricondotta a uno spiccato e costante aumento dell’occupazione (il numero totale delle persone occupate ndr) mentre, invece, meno a una cre-
scita della produttività”. Anzi, spiega più avanti lo studio del Bak, “la forte crescita economica in Ticino è da ricondurre soltanto marginalmente all’aumento della produttività. L’espansione economica è quasi esclusivamente dovuta a una marcata crescita dell’occupazione”. Una crescita dell’occupazione, si capisce spulciando le cifre, che si manifesta più sotto forma di un volume complessivo che come percentuale di occupati. Infatti il tasso di disoccupazione rimane grosso modo stabile al 6%, con delle differenze cicliche dovute alla congiuntura. “Il forte aumento dell’occupazione in Ticino deriva per circa il 60% dall’aumento della forza lavoro pendolare, proveniente da oltre confine (+27’000). La restante crescita, è determinata dalla popolazione indigena, la quale nel periodo interessato ha vissuto uno spiccato aumento”. Questa discrepanza tra i dati complessivi e quelli al netto del lavoro importato, potrebbe concorrere a spiegare la percezione di crisi che tocca il Ticino in molti campi. «È chiaro che togliendo il prodotto dei frontalieri, il reddito che rimane qui in Ticino è molto inferiore» ci ha risposto de Pouechredon al termine della conferenza, per dipanare alcuni possibili dubbi. «Del resto, ha aggiunto, questo vale per molte regioni che hanno un forte numero di lavoratori pendolari, non necessariamente frontalieri, per esempio Zurigo dove il reddito ‘nazionale’ è solo il 71% del Pil nominale». Una chiave del successo di una regione sono le cosiddette ‘specializzazioni’. In Ticino sono cresciuti molto, ma meno della media dell’economia tessile, editoria e media ma a livello inferiore rispetto al complesso dell’economia ticinese. Secondo una proiezione del Bak alcuni settori, come l’immobiliare, rischiano una ‘saturazione’ mentre si vede un potenziale di sviluppo più marcato nelle tecnologie dell’informazione, nella farmaceutica, e nel settore elettrico-elettronico in generale. Sono valutazioni che tuttavia, avverte il Bak, andranno verificate nel tempo.