Si fa presto a dire curling
Metti una domenica sera alla Resega, dove il frastuono dell’hockey lascia posto a rumori ovattati e l’unico contatto consentito è tra le ‘stones’. Alla scoperta di uno sport in apparenza un po’ buffo, che si rivela non banale; tra scope, strani innaffiatoi, un ruzzolone e un tè caldo. Perché lo spirito va onorato.
Lo spogliatoio della squadra di casa è chiuso, i muri della Resega sono impregnati dell’odore di chi versa ogni goccia di sudore nella rincorsa di un disco da mandare in fondo alla rete avversaria. Fuori dal tunnel che conduce alla pista, il frastuono dell’hockey in questa domenica sera è solo un’eco. L’unico rumore, lieve, è una pioggia di goccioline. «Quello è il ‘pebble’». L’espressione dev’essere confusa, se Davide Nettuno (membro comitato Curling Club Lugano) spiega che è una sorta di innaffiatoio al contrario. Il cui uso – prosegue, in risposta alla faccia invariatamente perplessa – è preparare il rink, ossia il campo da gioco. «L’acqua ghiaccia al contatto con la pista e così le pietre scivolano più velocemente». Ah ok. Inizi a intuire che questo sport apparentemente un po’ buffo, è meno banale di quanto sembri. Due ore (e un ruzzolone) dopo, ne hai la certezza. Grazie alla pazienza e alle spiegazioni dei curler luganesi, il lancio delle pietre – pardon, delle ‘stones’ – si risolve con un’innocua perdita di equilibrio a ogni tiro che, così dicono (anche se resta il dubbio che sia a mo’ di consolazione), «all’inizio è normale». Poi c’è l’uso della scopa e parliamone. Quel gesto che, non si provi nemmeno a negare, ci abbia fatto sorridere vedendolo in tv; ecco, quel gesto è non è facile. Ci vuole, in ordine sparso: equilibrio (provate ad avere una soletta scivolosissima sotto una scarpa), coordinazione (sarebbe meglio non ingarbugliarsi con le altre scope e nemmeno toccare il sasso lanciato verso la casa, per non annullare il punto), forza (all’occorrenza l’attrezzo va usato con intensità, velocità e molta pressione) e occhi dappertutto (è utile vedere e scansare le pietre a guardia della casa, pena il ruzzolone di cui sopra). Al termine di un allenamento più affollato del solito (sull’onda delle Olimpiadi, una dozzina di persone è venuta a provare), capisci pure che non è uno sport per vecchi. «Nooo daiii, ancora unaaa!», esclamano tre ragazzi che vorrebbero giocare un’altra partita; ma l’ora è tarda e domani c’è scuola. «Il curling può essere praticato da chiunque e a qualsiasi età: i più giovani possono usare i “cherry rockets”, sassi più piccoli e leggeri; e non di rado nei tornei s’incontrano ultrasettantenni». Spesso associato alle bocce, «ha un concetto di base abbastanza simile. La differenza, oltre a un ‘boccino’ fisso (il centro della casa), è che il curling consente di costruire un piano di gioco, mettendo delle guardie o creando situazioni per complicare la vita all’avversario. Fondamentali sono tattica, strategia, freddezza, spirito di squadra, precisione. E lettura del ghiaccio: la capacità di capire quanto veloce o lento sia e quali canali possa avere, perché non sempre una superficie è perfettamente piana». Rivelatosi al grande pubblico quando di- venne disciplina olimpica, a Nagano 1998, il curling ha una lunghissima tradizione, essendo nato in Scozia nel Sedicesimo secolo. «Da noi i primi anni fu difficile farlo conoscere. Mi ricordo certi allenamenti in cui ci trovavamo in tre, neanche abbastanza per una squadra, che è composta da quattro giocatori». Oggi la società ha una quarantina di soci attivi. Del curling, che gioca da 17 anni, Nettuno apprezza «in particolare l’aspetto sociale: ci può essere un sano agonismo, ma mai aggressività o antisportività. Lo spirito è quello di una grande famiglia, con la quale fare qualcosa di divertente senza complicazioni gerarchiche, trascorrere serate assieme che magari danno vita a belle amicizie. Dal punto di vista sportivo mi piace che chiunque possa partecipare anche a eventi internazionali, in cui capita di competere anche con medagliati olimpici o mondiali. A differenza degli altri sport, questo non ha nessuna separazione di classifiche e categorie. È come se una persona che si allena a tennis da soli tre anni una volta la settimana, a un ipotetico torneo a Berna trovasse Roger Federer come avversario». Gli iscritti ai corsi di tennis, v’è da scommettere, sarebbero innumerevoli. Ai curler ne bastano meno, ma entusiasti come i tre ragazzi. “Nooo daiii, ancora unaaa!”. E, tutto sommato, come chi con la scopa ha mostrato di non saperci proprio fare, però ha apprezzato il tè caldo in compagnia dopo l’allenamento. In perfetto spirito curling.