Misure fiscali, Unia ritira il reclamo e scrive al governo
Non più un “reclamo”, come reso noto in un primo tempo, che “potrebbe avere come effetto quello della posticipazione del voto popolare” e non è questo il loro intento. Così come non vogliono, i dirigenti del sindacato Unia, aggravare i costi della collettività. Cassato dunque il reclamo formale, Unia si limita a una lettera raccomandata dove si chiede formalmente di modificare il testo dell’opuscolo informativo sulla votazione popolare del prossimo 29 aprile mettendo in primo piano “riforma della legge tributaria del 12 dicembre” (che propone sgravi fiscali per ricchi contribuenti e grandi aziende) e, al contempo, eliminando “il riferimento alla parte sociale che non è oggetto della votazione”. E sarebbe anche bene tagliare il passaggio dove si cita la volontà espressa dal parlamento, vale a dire “se una delle due componenti, fiscale e sociale, dovesse venire a mancare anche l’altra non potrà essere messa in vigore”; passaggio quest’ultimo formalmente scorretto – perché si vota solo sulla riforma fiscale – ma politicamente verosimile, nel senso che quello espresso è il parere della maggioranza parlamentare. Unia, sempre nella lettera spedita ieri al governo, prende atto delle dichiarazioni fatte dallo stesso durante la conferenza stampa di martedì scorso (cfr. ‘laRegione’ del 27 marzo) che hanno permesso “di delineare ulteriormente i contorni giuridici di quella che – a nostro avviso impropriamente – continuate a definire Riforma fiscale e sociale”. Potrebbe apparire una polemica squisitamente tecnica, ma così non è. I cittadini, in verità, devono sapere esattamente cosa c’è in ballo, il prossimo 29 aprile; cosa decidono deponendo un sì o un no nell’urna. Unia ricorda che il rapporto della commissione parlamentare, citato in conferenza stampa anche da Christian Vitta, è molto chiaro: se il decreto fiscale viene bocciato dal popolo, il Consiglio di Stato può tenere in sospeso la parte “sociale” per un certo periodo, riportandola eventualmente davanti al Gran Consiglio per l’abrogazione. Insomma, dopo il voto popolare può esserci un secondo passaggio istituzionale. Nessun automatismo, dunque, fra le due riforme. Come peraltro impedisce una sentenza del Tribunale federale.