Dopo 50 anni permesso negato
Italiano nato e cresciuto in Svizzera sta due mesi a Vicenza. Al rientro niente più permesso
Italiano, nato e cresciuto in Svizzera, esce dal Paese per due mesi. Al ritorno il permesso C non viene ripristinato: dovrà andarsene fra 10 giorni. Lui fa ricorso e racconta la sua storia...
La disavventura burocratica di un locarnese, senza pendenze giudiziarie. Il motivo del ‘no’: antichi debiti di una società ormai estinta.
Un iter kafkiano, che come un tritacarne macina la vita di un uomo facendone polpette. Potrebbe essere riassunto così il Calvario che un locarnese (con passaporto italiano) di mezza età sta vivendo in questi mesi. Non capisce: è arrabbiato e, con un vago accento tedesco, ci racconta per filo e per segno le sue vicissitudini. Nato a Basilea a metà degli anni 60, è figlio di un italiano (pure lui nato a Basilea) e di un’italiana emigrata. Cresce, studia, vive e lavora per 50 anni tra Basilea, Zugo e il Ticino, dove giunge nel 2002. Nel 2016 decide di stipulare un’unione domestica registrata con una persona proveniente da un Paese africano e residente a Varese. L’amore trionfa su tutto (omnia vincit amor), affermavano gli antichi, che tuttavia non avevano a che fare con la burocrazia ticinese... In verità la procedura è irta di ostacoli (con costi stellari) e difficilmente può essere esaurita nei tre mesi di un permesso di soggiorno svizzero. I due, perciò, decidono di convolare a nozze oltre confine, a Legnano, e laggiù le autorità chiedono al 50enne un “certificato contestuale stato di famiglia/residenza”. Per ottenerlo, il protagonista della vicenda decide di spostare il domicilio per due mesi a Vicenza, rinunciando al permesso C (era il 24 luglio 2017). Passano solo due mesi prima del rientro nel Locarnese, al suo appartamento, dai suoi amici. Riprende il lavoro. Si rivolge all’Ufficio della migrazione che, con sua grande sorpresa, il 9 febbraio 2018 respinge l’istanza di ripristino del permesso di domicilio C, come pure il rilascio di quello di dimora B. Di più: gli viene intimato di lasciare la Svizzera al più tardi entro il prossimo 8 aprile.
È pendente un ricorso
«Non me ne capacito – si sfoga –. Ho chiamato l’avvocato e abbiamo fatto ricorso». Le ragioni dell’Ufficio della migrazione? «Il casellario giudiziale, sia in Svizzera sia in Italia è immacolato – risponde l’intervistato, mostrandoci le prove –. Non ho debiti con lo Stato e non ho mai fatto capo all’assistenza sociale. Vivo del mio lavoro e pago regolarmente tutte le fatture». I motivi vanno cercati nel passato, quando il 50enne era ai vertici di una società che gestiva tre locali in Ticino. L’impresa si è però sfaldata e sono rimasti diversi debiti. In sostanza attestati di carenza beni per un ammontare che oggi è di 167mila franchi. Ma l’Ufficio migrazione, che al contrario dei giornalisti non deve attenersi al “diritto all’oblio”, ricorda pure una sentenza della pretura penale per una falsa testimo-
nianza rilasciata dal 50enne 13 anni fa e pure legata alle sue vicissitudini imprenditoriali. Errori del passato che non gli vengono perdonati. L’avvocato, nel ricorso, sottolinea come la situazione debitoria del suo assistito non sia peggiorata. Anzi, “egli si sta impegnando nel trovare una soluzione bonale
con i diversi creditori per rimborsare loro il dovuto”. Ciò, ovviamente, a patto che possa restare in Svizzera e continuare a svolgere il suo lavoro e a condurre la sua vita. «Non mi resta che attendere l’esito del ricorso, sperando di poter restare – conclude il nostro interlocutore –. In caso contrario non saprei bene cosa fare. Non ho mai vissuto in Italia e oltre confine non ho casa, amici o lavoro. Tutta la mia vita ormai è qui, attorno al Lago Maggiore. Il rifiuto del permesso mi sembra francamente sproporzionato e non attinente a quella che è oggi la mia situazione».