‘Non meritava ciò che le è successo’
Giornata di arringhe davanti alle Assise Criminali di Mendrisio. ‘Gli operatori vanno prosciolti’ I genitori affidatari, reo confessi dei maltrattamenti a una bambina, ‘non avevano gli strumenti del caso’
I genitori accusati di aver maltrattato la bimba che avevano in affido si scusano. Le figure istituzionali di riferimento si difendono. Giornata di arringhe in aula. Oggi la sentenza.
Alla sbarra, lì nell’aula penale, ci dovevano essere solo i genitori affidatari. Loro, il tutore e l’assistente sociale, no. I difensori dei due operatori vanno dritti al punto: i loro assistiti sono da prosciogliere, e da tutte le accuse. Semmai le responsabilità vanno ricercate altrove per gli avvocati Andrea Ferrari e Yasar Ravi. Innanzitutto, fra le mura domestiche della famiglia che per circa due anni – fra il 2010 e il 2013 – ha preso in affido la piccola vittima, poi ai piani alti della rete sociale. Perché a ben vedere, ha rincarato Ferrari, patrocinatore del tutore legale della bambina, il banco degli imputati è di fatto... corto. «In questa aula – ha scandito il legale nel corso di una giornata processuale dedicata per intero alle arringhe difensive – mancano almeno cinque o sei persone, che conoscevano esattamente la situazione e non hanno fatto nulla per porre rimedio. Però non sono finite sotto inchiesta né sono state sentite». Come dire che anche l’indagine è risultata «essere monca». E nella storia rimbalzata ad anni di distanza davanti a una Corte delle Assise Criminali (presieduta dal giudice Mauro Ermani) si insinuano «molti dubbi sullo svolgimento dei fatti». Quanto alle due figure istituzionali di una vicenda quanto mai dolente? L’avvocato Ravi è stato categorico: «Non può essere rimproverato di aver omesso di intervenire. A quel momento non vi erano indicazioni dei maltrattamenti». Ovvero delle punizioni (anche pesanti) in serie, delle umiliazioni e dei soprusi ai quali è stata sottoposta una bimba piccola, con un vissuto difficile sulle sue ancora incerte spalle. Vista da fuori, ha rilanciato il difensore dell’assistente sociale, «la situazione rientrava nella norma. Nessuno riteneva vi fossero particolari segnali d’allarme. Nessuno poteva sospettare ciò che accadeva». Eppure, come ripercorso martedì (cfr. ‘laRegione’ di ieri) dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni e dalla legale della vittima, Maria Galliani, gli indizi c’erano, a cominciare, nell’autunno del 2010 (quindi fin dell’inizio del percorso d’affido), dalla segnalazione della scuola. «Gi operatori di rete – ha reagito a distanza Ravi – sapevano di una famiglia in difficoltà. Che tuttavia si dimostrava dispo-
sta a proseguire con l’affidamento». Poi gli episodi emersi apparivano «di natura sporadica». Inoltre, ha corroborato il collega Ferrari, tanto il tutore che l’assistente sociale si sono «legittimamente attenuti alle risultanze della rete (in altre parole degli specialisti, ndr)». Invece, si è rimproverato all’indirizzo dell’accusa, verso i due imputati ‘istituzionali’ si è avuto un atteggiamento «colpevolista». A dimostrare semmai un «comportamento fuorviante» e a rivelarsi dei «calcolatori», ha rilanciato il patrocinatore dell’assistente sociale, sono stati i due coniugi affidatari, all’epoca residenti nel Mendrisiotto. Quella madre e quel padre presi a ‘prestito’ per accompagnare la piccola nella sua crescita che, dal canto
loro, hanno fatto subito ‘mea culpa’.
Quel fare a ‘scaricabarile’
«Calcolatori? Se lo fossero stati – ha risposto a giro di arringa l’avvocato Felice Dafond, difensore dell’uomo –, non avrebbero aperto bocca». In aula, ha rintuzzato, si è assistito al «gioco dello scaricabarile». In realtà, «tutti hanno chiuso gli occhi e rimbalzato le loro responsabilità. Ma tutti sono responsabili. Se ciascuno avesse adempiuto al suo dovere non saremmo qua (in un’aula di tribunale, ndr)». Il punto, ha richiamato l’attenzione il legale, è che «le diverse figure professionali non avrebbero nemmeno dovuto autorizzare questo affido E fin da subito avrebbero dovuto intervenire, interrompendo una situazione che la famiglia non aveva gli strumenti minimi per affrontare». In sostanza, i genitori affidatari si sono scontrati con una «situazione più grande di loro». E la fragilità di quel nucleo familiare si è rivelata il terreno di coltura per i maltrattamenti, indicibili e degradanti, che oggi sono l’ossatura dell’atto d’accusa. Allora, ha rimarcato ancora Dafond, «nessun servizio si è preoccupato di vedere se la piccola era adatta a essere collocata in quella casa». Nei fatti, «siamo stati noi due (gli operatori, ndr) a salvare la bimba», si è difeso in conclusione il tutore. Ora la parola è alla Corte, che comunicherà la sentenza in giornata.