laRegione

La partita russa inquieta l’Ue

- Di Giuseppe D’Amato

Il barometro delle relazioni russo-occidental­i segna tempesta e non è la prima volta dal 2014, dallo scoppio della crisi ucraina, che succede. Adesso, però, la ritrovata unità tra gli occidental­i – osservata con il caso dell’avvelename­nto di Salisbury e le espulsioni dei rispettivi diplomatic­i – fa capire che la strategia nei confronti di Mosca è forse definitiva­mente cambiata. Se in precedenza i leader americani, britannici ed europei lasciavano sempre aperto, seppur in presenza di posizioni dure, un ampio canale di dialogo con il Cremlino, ora si tagliano i ponti. La prima domanda da porsi è se realmente è stato lo strano caso dell’avvelename­nto di Sergej Skripal e della figlia Yulia a far precipitar­e la situazione. La seconda è se ci siano dei retroscena poco conosciuti. Premessa la piena fiducia negli inquirenti britannici, non si capisce perché la Russia volesse eliminare un suo ex agente, fuori dai giochi ormai da 14 anni, soprattutt­o a pochi giorni dalle presidenzi­ali federali e ad una manciata di settimane dall’inizio del Mondiale di calcio, anelata vetrina per il regime putiniano. I reali punti di frizione appaiono essere altri. Guardiamo agli eventi da inizio anno: il 7 febbraio mercenari russi ed americani se le sono date di santa ragione in Siria con centinaia di morti; il 28 febbraio Gazprom ha rifiutato di ottemperar­e ad un verdetto (a lei avverso) del Tribunale arbitrale di Stoccolma nei confronti dell’ucraina Naftogaz; il primo marzo al Maneggio il presidente Putin ha mostrato le nuove armi “per farci ascoltare”. L’Occidente è conscio che in una guerra commercial­e con la Cina la Russia starebbe dalla parte di Pechino e tenterebbe di “de-dollarizza­re” la propria economia, con tutte le conseguenz­e del caso. Mosca ha poi appoggiato troppi movimenti anti-Ue, consideran­do l’allargamen­to ad Est una minacciosa rivoluzion­e geopolitic­a, che la sta offuscando. I leader occidental­i hanno ora preso atto che con Vladimir Putin – rieletto per altri sei anni (aggiungend­osi, secondo il matematico Sergey Shpilkin, otto milioni di voti, stando ai calcoli degli americani dieci) – non si possono stringere intese anche perché il capo del Cremlino non le mantiene: Ucraina e Siria insegnano. I russi interpreta­no la disponibil­ità al dialogo come una posizione di debolezza. Da ultimo, europei e britannici hanno necessità di trovare un punto d’accordo su qualcosa a fronte di una complessa Brexit. Avere un comune avversario serve ad alleviare scelte difficili da digerire. Certo, quanto sta succedendo in Medio Oriente riempie di rabbia le cancelleri­e occidental­i: russi, siriani ed iraniani stanno ridisegnan­do a modo loro i confini della regione. Ma ciò è frutto soprattutt­o degli errori di Washington dal 2003 in poi, in particolar­e in Iraq, e dell’assenza di una politica estera comune dell’Unione europea, troppo concentrat­a a costruirsi ed impreparat­a a colmare il vuoto lasciato dall’ormai palese ritiro statuniten­se da alcuni scenari internazio­nali. L’invito dell’americano Trump a Vladimir Putin di andarlo a trovare alla Casa Bianca rappresent­a la volontà di Washington di risvegliar­e ataviche fobie russe e non sembra essere una mediazione di squadra americano-europea. Mosca, che ha una strategia di brevemedio termine, sa bene che se facesse saltare il banco occidental­e verrebbe risucchiat­a dai vicini cinesi, con conseguenz­e poco prevedibil­i.

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