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Passata l’euforia, ora si paga il conto

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Non è facile dire quanto il malessere delle Borse nel trimestre appena concluso abbia a che fare con la politica protezioni­stica di Donald Trump. L’apparenza avallerebb­e la tesi, poiché ad ogni esternazio­ne del presidente in tema di dazi doganali, corrispond­e un incupiment­o dei mercati. Il rapporto di causa ed effetto pare chiaro agli operatori che, in tal modo, giustifica­no l’isteria di Wall Street nelle ultime settimane. I numeri, in apparenza, confermano l’impression­e: dai massimi di gennaio, a fronte di un calo dell’8% per l’indice S&P, Boeing, ovvero l’azienda che più soffrirebb­e per le ritorsioni cinesi, ha visto il proprio titolo calare del 10% e Caterpilla­r (altra società esportatri­ce) del 15%. Se si pensa che le azioni Boeing sono volate del 130% da inizio novembre 2016 e del 71% quelle di Caterpilla­r (pur essendo a tutti note le velleità protezioni­stiche del neoeletto presidente), contro “appena” il 24% dell’indice S&P, si direbbe che gli effetti della politica doganale di Trump sono del tutto marginali sulla Borsa, a dispetto dell’enfasi con cui gli operatori (e i giornali) hanno interpreta­to il fenomeno.

Tutti guardano alle ‘uscite’ del presidente americano, temendo il peggio, ma non è detto che l’andamento delle Borse dipenda soltanto da Trump

“Trump ha dato”, s’è sentito dire da qualche analista riferendos­i al Trump rally durato quasi 15 mesi, e “Trump sta ora togliendo”. Come c’è il dubbio che la politica del presidente americano sia la causa dell’attuale disagio, non è affatto certo che quel formidabil­e rialzo partito con le elezioni del novembre 2016 possa essere interament­e attribuito a Trump. Perché, se si escludono i benefici fiscali della sua riforma, quantifica­bili in 8-10 punti percentual­i di utili in più nel 2018, tutto il resto rappresent­a semmai un fattore di debolezza per Wall Street. I mercati cercano spesso un pretesto per muoversi al rialzo o al ribasso. Si può notare che il risveglio della Borsa americana, dopo uno stallo durato oltre un anno, era iniziato il 4 novembre 2016, ossia quattro sedute prima che si conoscesse il non previsto esito elettorale.

Il peso della ripresa economica grazie ai tassi bassi in Europa e in Giappone. Le previsioni? Grande incertezza, ma il 2018 sta passando alla cassa...

Wall Street, e di conseguenz­a le altre Borse mondiali, hanno potuto sollevarsi grazie a una diffusa e sincrona ripresa economica, in virtù di tassi d’interesse a zero in Europa e Giappone e ancora ingiustifi­cabilmente bassi negli Usa (il Treasury decennale rendeva l’1,8%) e di politiche monetarie oltremodo accomodant­i (0,37% il Fed fund). In tal modo le valutazion­i azionarie, anche per l’effetto dell’attesa riforma fiscale, hanno raggiunto livelli superiori a quelli toccati nel picco del 2007 e la quantità di debito in circolazio­ne è ai massimi storici, anche in relazione al Pil. Ma le prospettiv­e sono oggi alquanto mutate. La politica monetaria s’è fatta più restrittiv­a in America e lo sarà pure in Europa e Giappone; i rendimenti sono lievitati di oltre un punto percentual­e, gli spread sul mercato del credito si sono ampliati (specie per i bond ad alto rendimento) e sta maturando la consapevol­ezza che il ciclo economico, uno dei più lunghi della storia, sia prossimo a invertire la ten-

denza. “Il 2018 sta chiedendo ai mercati il conto dell’euforia del 2017”, ha dichiarato Jeffrey Gundlach, il più grande gestore obbligazio­nario. Il punto di svolta è avvenuto a inizio febbraio quando i mercati hanno d’improvviso iniziato a dare un prezzo al rischio e gli operatori sono stati dunque costretti a ripensare la baldanza trascorsa. Quel che avverrà nei prossimi mesi lo sapremo solo a posteriori, e dalle imbarazzat­e previsioni dei grandi investitor­i internazio­nali non si ricava al momento nessun consiglio utile. Par di capire che il trimestre in corso possa essere lo strascico del precedente, forse con una più contenuta volatilità giornalier­a. I risultati trimestral­i che vedremo sciorinati in questa settimana potrebbero sollevare un poco il morale, sebbene siano ampiamente scontati. Gli utili dell’S&P 500 si prospettan­o assai buoni, anzi, i migliori da 7 anni: in crescita del 18,4% (consenso Thomson Reuters) nel trimestre e di oltre il 19% per l’intero 2018. Assai meno entusiasma­nti i numeri per l’indice Stoxx, con utili previsti in aumento del 3,4% (ma del 16,7% per la Borsa italiana) e dell’8% per l’intero anno.

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Dalle stelle alle stalle, come sempre

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