laRegione

Vince Orbán, perde l’Europa

- Di Lorenzo Erroi

Ricapitola­ndo: domenica il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha conquistat­o il terzo mandato consecutiv­o. Maggioranz­a assoluta. Estrema destra montante in seconda posizione, socialisti annichilit­i. Il ‘Viktator’ vince con una ricetta semplice e cruda che mescola nazionalis­mo, xenofobia e identitari­smo religioso. Diopatriaf­amiglia. La prima tentazione è quella di allargare l’inquadratu­ra: incastonar­e il risultato nel Kulturkamp­f fra cosmopolit­ismo liberale e mozzorecch­i dell’antiestabl­ishment, da Ukip ad Alternativ­e für Deutschlan­d, dal Front National alle leghe.

Segue dalla Prima E di certo non mancano le somiglianz­e di famiglia, tanto che i discorsi di Orbán potrebbero essere tranquilla­mente attribuiti a ciascuna di queste formazioni. Esempio: “Vogliono prendere il nostro Paese. Vogliono costringer­ci a cederlo a stranieri provenient­i da continenti che non rispettano la nostra cultura, le nostre leggi e il nostro modo di vivere”. Già sentita? Ma il rischio, nel concentrar­si sullo scontro di culture, è di banalizzar­e il pericolo costituito da Fidesz. Trattandol­o come un ‘semplice’ partito iperconser­vatore, che si confronta democratic­amente coi suoi oppositori sul piano delle idee e dei programmi. Invece il partito-sistema ungherese è andato ben oltre. Ha sottomesso all’esecutivo il potere giudiziari­o, infiltrand­olo e smantellan­do così le fondamenta della democrazia costituzio­nale. Ha ridisegnat­o a suo favore i distretti elettorali. Ha consegnato le chiavi dell’economia a un manipolo di fedeli oligarchi, sfamandoli con laute commesse pagate dall’Unione europea (denari “che sono per il regime quel che i proventi del petrolio sono per i despoti arabi”, nota il politologo Jan-Werner Müller). Ha imbavaglia­to la stampa, usando il ‘mercato’ per comprare le testate d’opposizion­e e smantellar­le, fino a controllar­ne il 90%. Ha accerchiat­o le Ong critiche, decurtando­ne i fondi e sottoponen­dole al controllo dei servizi segreti, spesso con campagne dal tono antisemita contro il ‘nemico straniero’, Soros in primis. La questione ungherese è dunque, prima ancora che una guerra d’idee, uno scandalo istituzion­ale. Un Paese membro dell’Unione europea ha scelto di avvicinars­i a Vichy invece che a Bruxelles. E insieme agli alleati di Visegrád (Polonia, Cechia, Slovacchia, con l’Austria di Kurz come guest star) persegue impunement­e uno spudorato doppiogioc­hismo. Budapest consolida le alleanze con i regimi dell’Est – Russia, Turchia, Azerbaigia­n, Kazakistan – ma intasca i sussidi europei. Intanto l’Ue, impreparat­a all’ipotesi di regression­e autoritari­a in uno dei suoi Stati, si lascia sbeffeggia­re. Anche perché in Ungheria sono enormi gli interessi di imprese come quelle tedesche dell’auto, e dipendono anch’essi dal denaro europeo. Così quella che una volta era “la caserma più felice del campo socialista” è diventata l’ennesima polveriera nella storia della Mitteleuro­pa. E il resto del continente, come da tradizione, guarda altrove.

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