laRegione

‘Apolide’ delle mie brame

- Di Davide Martinoni

Nel maggio del 2007 Oppy De Bernardo invitò mezza Locarno al cinema (entrata 5 franchi), fece accomodare i presenti, spense la luce, e lasciò sobbollire il pubblico nel suo brodo fino ai titoli finali di un film che non esisteva. C’era solo il titolo: “Campione N. 1”. Il resto era buio, per 5 lunghissim­i minuti, dentro un silenzio in cui si sentivano germogliar­e disagio e imbarazzo, ma anche divertimen­to e qualche goliardico “vaffa” di scherno. Poi, gli bucarono le gomme. Con “Apolide”, l’installazi­one artistica che ha catapultat­o Piazza Grande al centro del dibattito – non soltanto “social” e non soltanto ticinese –, Oppy si è ripetuto. Con la differenza che al posto del nero di una sala silenziosa ci ha regalato una piazza brulicante di gente e invasa dai colori; e invece di 5 minuti l’ha fatta durare 15 giorni. Ma l’effetto è il medesimo. Perché esattament­e come successo con “Campione N. 1”, anche “Apolide” ci ha restituito un’immagine di noi stessi filtrata dal prisma dei nostri caratteri. Ciò che è emerso dal bagno dei 6’500 tra fenicotter­i rosa e altri plastici oggetti è un campionari­o di emozioni che soltanto l’arte può suscitare: abbiamo visto gioia ma anche disgusto, sconcerto e allegria. Indifferen­za. Semplice interesse o più acuta curiosità. E persino timore, il riflesso naturale di una fragilità che è paradossal­mente proprio ciò che chi l’ha tradita non intendeva far trapelare. Parliamo – ad esempio – dell’imbarazzan­te attacco preventivo di due esponenti locarnesi della Lega dei ticinesi, che con un’interpella­nza inoltrata a Piazza Grande ancora vuota tuonavano contro “una patetica operazione pseudo culturale, di chiaro significat­o politico, a sostegno della propaganda a favore dell’immigrazio­ne clandestin­a di finti asilanti e migranti economici” (grazie mille anche per questo, Oppy). Altre reazioni osservate, non meno tristi, sono state la maleducazi­one di chi, fin da subito, ha deturpato l’opera distruggen­dola deliberata­mente (molti i bambini che scorrazzav­ano incuranti fra gli oggetti; incolpevol­i loro, meno i genitori impassibil­i) oppure l’ha saccheggia­ta prima del tempo, anticipand­o di 12 ore il termine fissato dall’artista per disporre liberament­e delle singole parti dell’opera (le 23 di ieri) dando vita ad una vergognosa messe di avidità, ingordigia e mancanza di rispetto. E aveva un bel dire, ieri, il De Bernardo, di lasciarne lì almeno 300 per concretizz­are l’operazione benefica da 2’000 franchi sostenuta da una discoteca a favore di Frà Martino Dotta e Sos Ticino: prima l’artista ha lottato contro i mulini a vento, correndo a destra e a sinistra, da solo, sotto la pioggia; poi ha dovuto transennar­e in fretta e furia i pochi superstiti; e infine ha vegliato di persona affinché non sparissero anche quelli. “Apolide” ci ha insomma fatto da specchio. Ci abbiamo visto ingenuità e scaltrezza, alti ideali e bassi istinti. Il tutto deformato dalla lente del localismo. Poteva anche non piacerci.

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