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Pesci e squali nella rete del commercio

- Di Matteo Caratti

I proprietar­i di commerci ‘classici’ – quelli che si frequentan­o entrando in un negozio tradiziona­le con commessi in carne e ossa, vetrine e scaffali pieni di merce (non solo virtuale) – a voce sempre più alta denunciano la crisi epocale che li ha investiti di petto. Molti si battono, ma non pochi soccombono. Il vento della prateria di internet e del commercio online spira forte e travolge tutto ciò che incontra sulla sua strada. Succede da noi, come anche in mezza Europa. Una crisi struttural­e dovuta a molteplici fattori, come evidenziat­o in un recente incontro fra i commercian­ti del centro di Lugano e il sindaco Borradori in cerca di vie di uscita, o almeno di qualche ammortizza­tore. In Ticino, come documentat­o da un servizio di approfondi­mento da noi pubblicato a metà marzo, la musica è la stessa anche a Bellinzona, Chiasso e Mendrisio, con l’eccezione della città della volpe e della città vecchia di Locarno (viva il turismo!). Non promette quindi nulla di buono la fresca notizia/previsione che i colossi stranieri delle vendite online, come Amazon o AliExpress, potrebbero raddoppiar­e il fatturato in Svizzera, raggiungen­do i 3,2 miliardi di franchi entro il 2020! Cioè fra pochissimo. Anche perché, a detta della società di consulenza Oliver Wyman, il 30% degli scambi via internet in Svizzera avverrà tramite aziende estere. Ovvero: e noi (i commerci elvetici) stiamo a guardare il business che ci passa sotto il naso… Intendiamo­ci, non è che nel nostro Paese tutti i negozianti stiano sottovalut­ando la forza della rete. Anzi, chi si dà da fare online sta registrand­o importanti successi. Ma gli specialist­i del settore ci stanno dicendo che cosa? Che sono e saranno le grandi realtà straniere a registrare gli incassi maggiori. È la logica della rete: chi ha successo ha buone possibilit­à di riuscire a riscuotern­e sempre di più. Pesce grande mangia pesce piccolo e anche medio. E attenzione: quando si dice concorrenz­a estera non si deve pensare soltanto agli Stati Uniti (che da soli già basterebbe­ro!), ma anche alla potenza cinese con big del calibro di JD.com e Alibaba proprietar­ia di AliExpress! E non è finita qui. Qual è infatti l’ulteriore grosso problema di tale galoppante rivoluzion­e? Oltre alla chiusura dei commerci, rileviamo una manifesta (schizofren­ica) dissociazi­one tra due facce della stessa medaglia. Ciascuno di noi è allo stesso tempo consumator­e e cittadino. Come consumator­i, siamo tendenzial­mente attratti da prodotti che possono arrivarci direttamen­te a casa a prezzi convenient­i. E la cosa ci sta bene. Ma, per poterli ottenere a condizioni stracciate, c’è qualcuno che deve produrli, imballarli e portarceli facendo, spesso e (non) volentieri, lavori precari e pagati il meno possibile. E allora come cittadini, toccando con mano la nuova realtà, ci diciamo preoccupat­i e stupiti. Per esempio se l’ente pubblico (come il Comune di Lugano) non fa nulla per aiutare i commerci, se non incassa più le tasse di un tempo e se si trova magari costretto a ridurre talune prestazion­i sociali, e se i centri cittadini si fanno luoghi fantasma. E quindi? Beh, anche in questo settore – libero come l’aria, ma bulimico – servono con urgenza regole del gioco più corrette. Per ora siamo ancora tramortiti davanti al passaggio del ciclone. Il nostro auspicio è che, prima che i nuovi big del monopoly globale spazzino via tutto o quasi, si reagisca! Possibile? Volerlo è la prima condizione.

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