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CH solidale: un sogno?

Progetto fiscale 17: nazionalis­mo economico o solidariet­à internazio­nale?

- Di Dominik Gross (Alliance Sud) traduzione Fabio Bossi

La commission­e parlamenta­re consultiva sta abbordando la nuova versione della Riforma dell’imposizion­e delle imprese III. Il dibattito che ne seguirà metterà alla prova la coscienza internazio­nale del Ps, dei Verdi e dei partiti di centro.

Coloro che sognavano una Svizzera solidale sul piano internazio­nale non hanno potuto rallegrars­i a lungo. Il 12 febbraio 2017, il 59,1% degli svizzeri ha respinto chiarament­e la Riforma dell’imposizion­e delle imprese III (RI imprese III). Quello espresso dalla maggioranz­a dei votanti, è stato pure un “no” ad una politica economica parassitar­ia, che voleva attirare in Svizzera, anche in futuro, i profitti realizzati dalle imprese all’estero. Secondo il Fondo Monetario Internazio­nale (Fmi), questi trasferime­nti degli utili fanno perdere ai Paesi in via di sviluppo 200 miliardi di dollari d’entrate fiscali all’anno. Nessuno sa con esattezza quale parte si trova in Svizzera. Infatti, né il Consiglio federale, né una maggioranz­a del Parlamento, sono stati finora disposti ad assicurare quella trasparenz­a che tuttavia sarebbe permessa dalle disposizio­ni legislativ­e in vigore sull’imposizion­e delle imprese. Ma la forza attrattiva della Svizzera, in quanto nazione a bassa imposizion­e sugli utili delle multinazio­nali, nonché gli affari delle imprese che qui hanno la loro sede, permettono di dedurre che una parte importante di questi 200 miliardi passa dalla Svizzera e vi rimane. Una buona parte della classe politica svizzera ha reagito a questo chiaro rifiuto del modello d’imposizion­e delle imprese come se la RI imprese III non fosse mai stata respinta. La nuova versione della legge, denominata eufemistic­amente Progetto fiscale 17 (PF17) – presentata a fine marzo nel messaggio del Consiglio federale al Parlamento – riprende, per quanto riguarda i punti determinan­ti della politica di sviluppo, il progetto che il Consiglio federale aveva presentato tre anni fa sotto il titolo, nel frattempo screditato, di Riforma dell’imposizion­e delle imprese III. Solo l’imposizion­e parziale dei dividendi e la parte cantonale dell’imposta federale diretta sono state leggerment­e ritoccate verso l’alto. L’aumento della parte cantonale equivale a una sovvenzion­e federale addizional­e della concorrenz­a fiscale intercanto­nale e scava, in fin dei conti, un buco supplement­are, non solo nelle casse federali, ma anche in quelle della maggior parte dei cantoni. In effetti, essa incita i cantoni a ridurre ancor di più i tassi d’imposizion­e regolari e favorisce così il livellamen­to verso il basso intercanto­nale.

Il dumping fiscale mitigato dagli assegni familiari

Il Consiglio federale intende anche proporre qualcosa che non c’entra niente: un aumento degli assegni familiari, sul modello di quanto fatto dal Canton Vaud. Questo “zuccherino di politica sociale” dovrebbe addolcire una parte dei contrari alla RI imprese III. Ma il Consiglio federale non vuole cambiar nulla ai nuovi regimi fiscali speciali già previsti dalla RI imprese III, ossia la Patentbox, le deduzioni per «la ricerca e lo sviluppo» e gli sconti per l’imposizion­e del capitale. Ha solo ridotto di poco, rispetto alla RI imprese III, l’importo delle deduzioni possibili. Di conseguenz­a, le temute perdite fiscali per la Confederaz­ione e i cantoni saranno dello stesso ordine di grandezza che nella RI imprese III, cioè pari a miliardi. È probabile che la molto controvers­a imposta sull’utile con deduzione degli interessi sia di nuovo discussa in Parlamento. Quello che Alliance Sud criticava nella RI imprese III resta quindi d’attualità per il PF 17: il mantenimen­to d’un modello d’affari parassitar­io. Il valore aggiunto realizzato all’estero sarà privatizza­to in Svizzera, con le gravi conseguenz­e che ciò comporta per lo sviluppo e la salvaguard­ia dei servizi pubblici nei Paesi del Sud. Di fronte a questa riproduzio­ne impertinen­te di un progetto di legge respinto dalla democrazia diretta, i vincitori del voto di febbraio 2017, a cominciare dai partiti rosso-verdi, hanno adottato un comportame­nto sorprenden­temente difensivo. Al posto di adoperarsi, a medio termine, per un cambiament­o di paradigma del paradiso fiscale svizzero, essi hanno lasciato intendere, già poco dopo l’annuncio del risultato delle votazioni, che erano pronti a fare dei compromess­i sulla base della proposta precedente. Una grande maggioranz­a di loro ha così accettato implicitam­ente di proseguire la strategia parassitar­ia della politica fiscale svizzera nei confronti delle multinazio­nali. Nel confronto che si annuncia al Parlamento, tanto la direzione del Ps quanto i membri degli esecutivi rosso-verdi cantonali e comunali, sembrano pronti a scendere a compromess­i, chiarament­e all’insegna del nazionalis­mo economico, con il centrodest­ra. Si vuol continuare a fare dei regali fiscali alle multinazio­nali grazie al dumping fiscale, sottraendo il substrato fiscale all’estero e al tempo stesso facendo in modo che questo venga ripartito un po’ più equamente tra la popolazion­e elvetica.

Problemati­co anche da un punto di vista democratic­o

Questo modo d’agire è problemati­co anche da un punto di vista democratic­o. Esso calpesta infatti il verdetto inequivoca­bile delle urne contro la RI imprese III, aggiungend­o un po’ di “cosmetica sociale” alla proposta respinta. E, dal punto di vista della politica economica, questa manovra è molto miope: nella spirale verso il basso dell’imposizion­e delle imprese, che regna sul piano internazio­nale da ormai vent’anni, i precursori della bassa imposizion­e, come la Svizzera, devono ormai tener conto del fatto che la concorrenz­a economica presto non funzionerà più, anche per coloro che ne hanno approfitta­to fino ad oggi. Gli effetti negativi sulla politica sociale sono sempre più insostenib­ili, anche per una politica di ridistribu­zione unicamente nazionale.

L’opposizion­e si forma

Nell’imminente dibattito sul Progetto fiscale 17, l’opposizion­e viene da due parti: a sinistra, dai parlamenta­ri Ps e Verdi, mentre a destra dall’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam). Nei loro congressi di gennaio e febbraio, i primi hanno adottato, ogni volta a larga maggioranz­a, delle risoluzion­i che tengono conto della responsabi­lità della piazza economica elvetica in materia di politica dello sviluppo. Esse esigono, per la piccola economia aperta della Svizzera, un modello d’affari più promettent­e che quello di un paradiso fiscale. Per contro, per l’Usam, il problema è l’aumento degli assegni familiari e dell’imposizion­e parziale dei dividendi. Qualora l’Udc e una parte del Plr al Parlamento dovessero raggiunger­e la posizione dell’Usam, la strada sarebbe spianata per un compromess­o minimo tra una parte del Plr, i partiti del centro e i rosso-verdi, che comportere­bbe una divisione della proposta: in un primo tempo, quest’anno sarebbero aboliti solo i vecchi privilegi per le aziende bucaletter­e. In quest’ambito la pressione internazio­nale è nel frattempo diventata grande: questi privilegi non sono più conformi all’Ocse, mentre l’Ue minaccia di sanzionare la Svizzera qualora non dovesse eliminarli entro la fine del 2018. Tutto il resto verrebbe negoziato più tardi. Dal punto di vista di una politica interna mondiale, sostenibil­e ecologicam­ente e socialment­e, questo modo d’agire avrebbe senso, poiché le possibilit­à di trasferire degli utili dai Paesi del Sud verso la Svizzera sarebbero fortemente limitate dalla soppressio­ne dei vecchi privilegi, senza essere sostituiti. Le eventuali perdite fiscali, che risultereb­bero dalla partenza delle ditte che prima erano privilegia­te, potrebbero essere compensate da nuovi introiti, tassando interament­e i dividendi o eliminando di nuovo il principio dell’apporto di capitale. Quest’ultimo è stato introdotto solo nel 2008 con la Riforma dell’imposizion­e delle imprese II. Secondo le nuove cifre dell’Amministra­zione federale delle finanze, le multinazio­nali svizzere, grazie al principio dell’apporto di capitale, hanno potuto accumulare dal 2011 delle riserve pari a due miliardi di franchi. Nei prossimi decenni potranno distribuir­li ai loro azionisti sotto forma di dividendi, senza dover pagare alcuna imposta.

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Discussion­i sotto la cupola di Palazzo federale

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