Lo scontro è tra Israele e Iran
Dopo i missili degli alleati occidentali contro la Siria, un’esplosione alla base Hezbollah di Aleppo
Il bilancio è di venti morti e potrebbe esserci la mano di Tel Aviv dietro ‘l’incidente’ al deposito utilizzato da miliziani filo-iraniani
A meno di 24 ore dai missili alleati sulla Siria, la notte scorsa un’esplosione ha distrutto un deposito di armi iraniano nella base di Jabal Azzan, vicino ad Aleppo. Subito la deflagrazione è stata attribuita a un raid di Israele, che ovviamente non ha confermato: ma è probabile che ‘l’incidente’ rappresenti un nuovo capitolo nella battaglia dello Stato ebraico contro il crescente arroccamento – con basi, uomini e armi sofisticate – dell’Iran in Siria. Che a Gerusalemme considerano un pericolo per l’esistenza stessa di Israele.
La deflagrazione, secondo media russi e turchi, ha ucciso 20 persone che si trovavano sul posto ed è stata confermata dall’Osservatorio siriano dei diritti umani. Secondo Al-Arabiya, il deposito era usato dagli Hezbollah e da altre milizie pro Teheran. Anche qui però media affiliati al gruppo sciita libanese hanno smentito l’attacco, sostenendo che si è trattato di “un’esplosione controllata”.
Al di là dell’esplosione di Jabal Azzan comunque, secondo molti analisti un confronto finale tra Iran e Israele appare inevitabile. Ieri il premier Benjamin Netanyahu – che sabato ha parlato al telefono con la premier britannica Theresa May – ha ribadito che il messaggio “importante” dell’attacco in Siria è “tolleranza zero per l’uso di armi non convenzionali”.
“Ho ripetuto – ha detto alla riunione di governo a Gerusalemme – che la causa principale della destabilizzazione del Medio Oriente è l’Iran e che Assad deve comprendere che quando consente a Teheran, e a chi agisce per conto suo, di stabilire una presenza militare in Siria mette in pericolo sia il suo Paese sia la stabilità dell’intera ragione”. Due giorni fa Israele ha rivelato che il drone iraniano partito dalla Siria il 10 febbraio e intercettato dall’aviazione “era armato con esplosivi ed era in missione per compiere un attacco in territorio” dello Stato ebraico. Va ricordato come la base da cui era partito il drone poi abbattuto sia stata colpita in un raid aereo attribuito a Israele e mai confermato dal governo di Gerusalemme.
Ma se Netanyahu ha espresso immediato sostegno all’operato di Trump e degli alleati, gli analisti israeliani sono un po’ più cauti nel giudicarne le conseguenze, visto che l’Occidente ha scelto di lasciare Assad al comando. Secondo ‘Times of Israel’, i capi della sicurezza israeliana temono che l’amministrazione Trump ora “consideri chiuso” il suo lavoro in Siria e che lasci Israele “da solo” a fronteggiare la presenza di Teheran nel Paese. Per Zvi Barel, commentatore di ‘Haaretz’, “agli occhi israeliani l’attacco di venerdì notte non risolve il dossier dello Stato ebraico con Siria e Iran”. Un altro rischio per Barel è che “parte dell’attesa risposta russa consista nel limitare a Israele l’uso dello spazio aereo siriano per attaccare obiettivi iraniani”.
Per Amos Yadlin, su ‘Yediot Ahronot’, un altro pericolo per Israele, in una situazione già di altissima tensione, può venire dalla possibile decisione di Trump di abbandonare l’accordo sul nucleare di Teheran, con la conseguenza che l’Iran riprenda ad arricchire l’uranio: in questo caso, ha scritto, “sarà necessaria un’operazione congiunta per fermare l’avanzamento verso il nucleare. Per questo Israele avrà bisogno del sostegno del più grande e importante dei suoi alleati”.
Ulteriori sanzioni contro la Russia
Dopo i missili sulla Siria Donald Trump non si ferma, ed è pronto a varare nuove sanzioni contro la Russia, ritenuta “complice” del regime di Assad anche nell’uso delle armi chimiche. Una mossa destinata a inasprire ancor di più i rapporti tra Washington e Mosca, mai caduti così in basso da decenni. Con l’ipotesi di un faccia a faccia alla Casa Bianca tra il presidente americano e lo ’zar’ del Cremlino Vladimir Putin che si allontana sempre di più, nonostante – dicono i ben informati – ci sia la volontà dei due leader.