laRegione

Quando il destino accomuna gli artisti

- Di Ugo Brusaporco

Cos’hanno in comune due registi come Milos Forman e Vittorio Taviani, a parte il morire negli stessi giorni? Hanno di sicuro il senso civile con cui hanno compiuto il loro cammino cinematogr­afico e di più hanno una loro storia personale segnata dalla terribile realtà del nazifascis­mo che a Forman ha ucciso entrambi i genitori (il padre è morto a Buchenwald e sua madre ad Auschwitz, accusati di essere partigiani) e a Taviani fece saltare in aria la casa, perché suo padre era antifascis­ta. Sono segni indelebili, non regali della sorte. Entrambi poi sono partiti dai documentar­i, vera scuola di un cinema che nasce per essere personale, facilmente individuab­ile, da maestro. Certo appartengo­no a due scuole diverse. L’italiano guarda a Roberto Rossellini, il cecoslovac­co a Milan Kundera ed è in questa origine che i due autori si caratteriz­zano. E mentre Taviani percorreva con il cinema la sua Italia, Forman, emigrato negli Stati Uniti dopo la Primavera di Praga, (…)

(...) ha saputo leggere il suo nuovo Paese con una profondità culturale che mancava ai registi d’oltre oceano. Certo Vittorio Taviani ha diviso il suo lavoro con il fratello minore Paolo, con lui ha costruito una carriera trionfale, senza mai cadere in un ovvio che oggi segna gran parte del cinema italiano. Ovvio non è il film con cui fa il suo esordio nel lungometra­ggio: ‘Un Uomo da bruciare’. Il film si ispira all’assassinio di un bracciante colpevole di essere socialista e di protestare nelle manifestaz­ioni contadine, tanto da essere ucciso dai killer della mafia in Sicilia nel 1955. Quella di Taviani è una scelta di parte anche politica, cosa che mai interesser­à a Forman, anche in un film come ‘Qualcuno volò sul nido del cuculo’ il regista di Cáslav non entra mai in un discorso politico, il suo è un dramma umano, sociale anche ma non politico, e anche quando affronta il tema di un genio come Mozart nell’intenso ‘Amadeus’, il suo sguardo resta lontano dall’indagare il tempo, dal far vedere la complessit­à di quel tempo che costringe un genio a soffocare. Diverso è il valore di Taviani, c’è nel cinema di questi fratelli sempre una partecipaz­ione che si fa bandiera e resta ideale anche nella delusione. Un cinema ricco di premi, pensiamo ai due estremi di questa carriera: la Palma d’oro a Cannes per ‘Padre Padrone’ e L’Orso d’oro a Berlino per ‘Cesare non deve morire’. C’è in questi due film un cammino mai pesante, sempre contento di non negarsi il piacere di raccontare sia la storia di pastori, sia la storia di carcerati che recitano Shakespear­e, tutto entra in corda d’umanità viva, che è quello che manca alla maestria di Milos Forman, dove tutto è rappresent­azione, fuga, cinema per il cinema, grande spettacolo, narrazione vivace, ma non sangue. Il sangue di Forman si era fermato a Praga, quello di Taviani ha continuato a scorrere, provocando, ricercando nel senso di ogni storia quel nostro essere qualche volta vivi e doloranti. I personaggi di Taviani possono andare al cinema, quelli di Forman restano appesi allo schermo: vita contro ombre, belle ombre, ma ombre. Grazie a Vittorio Taviani e a Milos Forma per averci regalato un cinema che diversamen­te merita un lungo applauso.

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Milos Forman e Vittorio Taviani
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KEYSTONE

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