Nel crepuscolo romantico
Vienna 1881, sono la città e l’anno che videro la prima esecuzione delle due opere dirette da Markus Poschner giovedì scorso, con Patricia Kopatchinskaja solista di violino e un’Orchestra della Svizzera italiana in forma smagliante: il Concerto per violino e orchestra di Piotr Il’ic Cajkovskij e la quarta Sinfonia di Anton Bruckner. Una musica che si potrebbe sbrigativamente collocare in pieno crepuscolo romantico, ma sarebbe troppo poco per spiegarne il carattere decadente e di riflesso la pigrizia mentale, che oggi la fa proporre con troppa frequenza nei concerti sinfonici. Ricordo “Danubio”, il capolavoro di Claudio Magris, ineguagliabile nel descrivere la tradizione conservatrice asburgica, la simbiosi di inettitudine e saggezza che trapassa in accorta prudenza, in un’efficace contraccezione intellettuale. È nella storia della musica la stroncatura che il critico musicale viennese Eduard Hanslick fece del Concerto di Cajkovskij, citata anche nella bella presentazione di Giovanni Gavazzeni che gli ascoltatori han trovato giovedì sul programma di sala. Credo che per Kopatchinskaja sia stata liberatoria e all’origine della strepitosa interpretazione che ci ha regalato, nella quale ha stravolto il fraseggio, ha calato in momenti di intimità cameristica alcune parti smargiasse, ha conculcato i virtuosismi circensi, anche nella cadenza del primo tempo, dove l’ascolto si rassegna a rumori da sega circolare, ha esibito tutta la bellezza, la dignità del suono del violino. Poschner l’ha assecondata perfettamente, aggiungendo, dove possibile, un po’ di teatralità ai suoi gesti. Nessuno dei dieci violinisti ancora sulla scena internazionale o appena usciti, che ho ascoltato finora, ha osato tanto. E c’è stato il tocco finale del bis: su un pianoforte verticale, spinto in scena traballante, l’Omaggio a Cajkovskij di György Kurtág. Si dice che in musica sia più facile far piangere che far ridere. Giovedì ho visto nel pubblico parecchi volti perplessi. Anche a nome di coloro che si sono divertiti come me un abbraccio a Patricia Kopatchinskaja. Eseguire le Sinfonie di Bruckner con pochi archi sembra la nuova scommessa di Poschner. Giovedì ne ha schierati poco meno di quaranta, sulla base di quattro contrabbassi. Direi che la scommessa è già vinta. La sua esecuzione ha mostrato quella trasparenza delle voci interne, che è tra le motivazioni del premio prestigioso che ha appena ricevuto per le Sinfonie di Brahms. Ha certamente ancora margini di miglioramento, ma non ha mostrato cadute di tensione, anzi, superato bene lo scoglio dello Scherzo, che gli appelli solistici dei fiati rischiano di trasformare in una banale caccia, è riuscito a far del finale il momento più importante dell’opera. Si tratta di una Sinfonia lunga quasi come la Nona di Beethoven, e penso che da sola basterebbe per un intero concerto, anche perché sarebbe bello evitare lo spettacolo indecoroso degli spettatori che lasciano la sala durante l’esecuzione.