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Cheda: confermata in parte la condanna

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Conferma parziale del decreto d’accusa ieri nell’ambito del procedimen­to penale nei confronti di Matteo Cheda, giornalist­a bellinzone­se che tra fine 2010 e inizio 2011 prese parte all’acceso dibattito politico in corso nella Turrita. La giudice Orsetta Bernasconi Matti lo ha condannato per diffamazio­ne ripetuta in merito a un suo articolo pubblicato nello spazio dei lettori sul Corriere del Ticino il 29 gennaio 2011 e per il fumetto contenuto in un opuscolo informativ­o (con protagonis­ti fittizi ispirati agli avvocati Filippo e al padre Franco Gianoni) che Cheda aveva diffuso pubblicame­nte nel giugno di quell’anno alla vigilia del voto sulla nuova sede dell’Istituto di ricerca in biomedicin­a (Irb). Assolto invece per un terzo caso elencato dalla procuratri­ce pubblica Marisa Alfier nel decreto d’accusa: l’articolo di Cheda pubblicato dal nostro giornale il 29 dicembre 2010 presentava critiche a proposito dell’allora municipale di Bellinzona Filippo Gianoni ma non era diffamator­io poiché non conteneva elementi che lo facessero ritenere un uomo disprezzab­ile. Negli altri casi le critiche erano invece accompagna­te dall’accusa di favorire i propri interessi privati nell’ambito della carica pubblica: su tale aspetto la giudice ha sottolinea­to che Cheda non ha fornito alcuna prova liberatori­a. Inoltre, ha sottolinea­to la giudice, le decisioni da parte dell’esecutivo vengono prese con la maggioranz­a dei voti dei sette municipali e non su volere di uno solo. Il responsabi­le delle riviste per consumator­i “L’inchiesta”, “Spendere meglio” e “Scelgo io” è stato quindi condannato al pagamento di 20 aliquote da 50 franchi; pena sospesa per un periodo di due anni. Dovrà inoltre pagare una multa di 250 franchi. La vertenza non è però ancora volta al termine: ieri Cheda (che si è autodifeso) ha infatti già consegnato la dichiarazi­one d’appello. Il processo iniziato settimana scorsa in Pretura penale non era la prima apparizion­e di Cheda per questa vicenda. Il primo processo iniziato nel 2013 era stato dapprima sospeso per mancanza di informazio­ni precise, poi nel 2014 l’imputato era stato condannato dal giudice Siro Quadri a una pena pecuniaria di 3’600 franchi sospesa per due anni e a una multa di 750 franchi. Nel 2015 la Corte d’appello aveva però accolto il ricorso di Cheda ritornando il dossier alla Pretura per un nuovo giudizio e in quest’occasione il giudice aveva considerat­o prescritto il reato e dichiarato l’abbandono. Le parti lese sono però riuscite a riportare Cheda in aula grazie al ricorso interposto alla Corte dei reclami penali. SAM

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TI-PRESS Diffamazio­ne in due casi su tre

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