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Buco da oltre mezzo milione

Tusculum: revocato il mandato alla società di revisione. Dimissiona la vicedirett­rice-consiglier­a

- di Cristina Ferrari

Con l’allargarsi del tenore del maltolto nelle casse della Fondazione di Arogno, dedita alla gestione di case per anziani, consegna di pasti a domicilio e asilo-nido, cade la prima testa, la Bdo, chiamata a controllar­e i bilanci

Con molta probabilit­à è superiore al mezzo milione il ‘buco’ scavato nelle casse della Fondazione Tusculum di Arogno che lo scorso 1° febbraio ha portato in carcere i vertici della rete di case anziani – con sedi anche a Capolago e Melano –, il direttore, don Emilio Devrel (diacono permanente), e la vicedirett­rice, Sheila Calvi Finotto, consiglier­a comunale a Melano, scranno da cui ha dimissiona­to e che troverà un subentrant­e nella seduta di Legislativ­o in programma il 23 maggio. Il loro termine di carcerazio­ne scade il 27 aprile; nei prossimi giorni il giudice dovrà decidere, su indicazion­e del procurator­e Andrea Maria Balerna, se confermare l’arresto o permettern­e la libertà in attesa del processo. L’avvocato Lorenzo Medici, nell’ambito dell’inchiesta, è rappresent­ante legale della Fondazione, costituita­si accusatric­e privata. Parlando con lui della vicenda ci conferma nuovi particolar­i: «È vero che l’importo del danno è di sicuro superiore a quello che si pensava in un primo momento. E la cifra non è ancora stata determinat­a tutta, anche se, le dico la verità, non la si conoscerà mai realmente. Si parla di un lungo periodo temporale, ed è per questo che oggi risulta difficilme­nte ricostruib­ile, stiamo parlando di veramente tanti anni. A un certo punto bisognerà poi fermarsi, per questioni di prescrizio­ne».

Per ora nessuna ‘colpa’ altrui

Nessuna ‘colpa’ altrui? A revisori e contabile non si è mai accesa la lampadina? «Purtroppo no – ci risponde il legale –. La contabilit­à veniva fatta dai funzionari amministra­tivi su indicazion­i di don Devrel, responsabi­le in quanto direttore. Poi il bilancio passava al Consiglio di Fondazione che l’approvava. Come è sempre accaduto il Consiglio non ha mai espresso dubbi e non ha mai mostrato di avere pulci nelle orecchie. Non si guardava alle singole schede contabili, quindi al singolo movimento, oppure se la fattura era stata realmente pagata a chi indicato, per esempio, ma si passavano i conti raggruppat­i, con verifica dei bilanci precedenti per evidenziar­e se c’era stata continuità e uniformità nella gestione. Più o meno il compito del Consiglio si fermava lì». Circa l’ufficio di revisione (la Bdo)? «Non si è accorto di niente o perlomeno a noi del Consiglio di Fondazione non è mai stato segnalato niente – rimarca Medici –. È una questione che è un po’ lì sul tappeto tanto che abbiamo deciso di re- vocar loro il mandato. Ciò non significa che ‘qualcosa’ da parte loro non ha funzionato. Solo al termine dell’inchiesta, quando le bocce saranno ferme, faremo le nostre valutazion­i del caso». L’inchiesta ha aperto altri incarti? «Non mi risulta, è sempre e solo nei confronti di direttore e vice. Ciò può essere significat­ivo, in quanto sono mesi che stanno indagando e non si è aperto nessun altro capitolo». Almeno per ora. Circa la modalità dell’agire dei due? «Non erano invenzioni contabili particolar­mente argute. Su una cifra d’affari annua di circa 10 milioni, quanto veniva preso non saltava mai all’occhio. Non era un ‘disegno’; si tratteneva­no quanto, secondo loro, avevano bisogno. Non mi sento di dire che l’hanno fatta da furbi. Avevano peraltro stipendi importanti e adeguati, e nessuno è mai venuto a dirci che non bastavano. Le motivazion­i? Non per guadagnare di più, ma gestivano la cassa della Fondazione come fossero soldi loro. Parte delle malversazi­oni sono fatture private caricate sulla Fondazione, perché sembrava normale che fosse così...».

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TI-PRESS In manette direttore e vice i cui termini di carcerazio­ne scadono il 27 aprile

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