Quando parlò Ciancimino
Palermo – In principio fu “sistemi criminali”, un’inchiesta su un ipotetico progetto di golpe degli anni 90 ordito da Cosa nostra, massoneria, pezzi di Stato ed eversione nera. L’indagine dell’allora pm della Procura di Palermo Roberto Scarpinato finì archiviata. Poi il fascicolo tornò a nuova vita, con la formulazione di un’ipotesi di reato specifica (e controversa), la violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato, iscrivendo tra gli indagati i boss Totò Riina e Nino Cinà. Seconda archiviazione. L’inchiesta fu ancora riaperta nel 2008, grazie alle rivelazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito, sedicente depositario delle verità sui rapporti mafia-politica-servizi degli ultimi 30 anni. Ciancimino parlò di una trattativa con la mafia avviata, con la copertura di pezzi delle istituzioni e mai identificati agenti segreti, dai carabinieri del Ros tramite suo padre Vito, confermando in parte le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca. Il 24 luglio 2012 la Procura di Palermo chiese il rinvio a giudizio per 12 persone, dovendo però registrare il dissenso di alcuni pm del pool che aveva condotto l’indagine. Il fascicolo si era ingrossato di migliaia di pagine: audizioni di pentiti, politici, esponenti delle forze dell’ordine, magistrati. Centinaia di migliaia i documenti: tra tutti, atteso per mesi e annunciato a più riprese da Ciancimino, il “papello”, l’elenco delle richieste che Riina avrebbe avanzato per fermare le stragi a cui in oltre dieci anni non si era mai attribuita una paternità. Tra polemiche (la Procura venne accusata di riscrivere la storia d’Italia) e colpi di scena come, nel 2011, l’arresto di Ciancimino per calunnia ai danni dell’ex capo della polizia De Gennaro, il 29 ottobre del 2012 iniziò l’udienza preliminare davanti al gup Piergiorgio Morosini, destinata a durare cinque mesi. Il 7 marzo del 2013 con un decreto che in parte rivedeva l’impianto della Procura integrandolo, il gup rinviò a giudizio 11 persone.