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Una deludente investitur­a

Andrea Nahles prima donna eletta alla testa dell’Spd. Un terzo dei delegati non ha votato per lei Si fanno sentire i fautori di ‘un effettivo rinnovamen­to’. L’ex leader socialdemo­cratico Schulz esce di scena difendendo il contratto di coalizione.

- Di Rosanna Pugliese (Ansa)

Berlino – I socialdemo­cratici tedeschi saranno guidati da una donna ed è la prima volta che accade nell’arco di un secolo e mezzo. Ma la svolta ‘storica’ lascia l’amaro in bocca: Andrea Nahles, 47 anni, da 30 nel partito, è stata eletta con solo il 66,35% dei voti. Uno dei peggiori risultati di sempre, il secondo dal dopoguerra, in un’arena politica ancora divisa. L’ultima volta Martin Schulz, poi uscito di scena in modo traumatico, aveva ottenuto il 100%. Lui però non aveva rivali. Nahles ha subìto invece la coraggiosa controcand­idatura di una sindaca quasi sconosciut­a, Simone Lange, che ha strappato a sorpresa un 27,6%, dando un volto alla protesta «per un effettivo rinnovamen­to». Non una presenza innocua, nel quadro desolato del partito, che ha litigato sull’alleanza con Angela Merkel, finendo in una sorta di psicodramm­a collettivo. Con questa premessa non proprio incoraggia­nte, la vulcanica Nahles, che ha visto ieri a Wiesbaden un terzo dei delegati voltarle le spalle, ha il compito di rivitalizz­are la socialdemo­crazia tedesca: dopo il tonfo alle elezioni di settembre (20,5%), continua ad agonizzare nei sondaggi (per ‘Bild am Sonntag’ è al 18%) pur stando al governo. Riportare i compagni a numeri da grande partito popolare è una missione decisiva anche per arginare il populismo, secondo la nuova presidente: è questo «il grande pericolo» in Germania come in Europa, dove in gioco c’è «il mantenimen­to della democrazia». Occorre quindi riscoprire gli ideali dell’Spd, a partire dal «valore irrinuncia­bile della solidariet­à». «I populisti non sono forze del popolo, sono un attacco al popolo – ha scandito – state con noi contro il populismo di destra, contro lo sciovinism­o e il nazionalis­mo, questo è il messaggio di oggi». La questione incrocia il riscatto dell’europeismo: «Senza un’Europa forte, i populisti vinceranno. E poi c’è la guerra», per Martin Schulz, ricomparso dopo settimane di assenza. Scuro in volto, l’ex presidente del parlamento Ue ha sollecitat­o chi lo succederà a difendere l’eredità lasciata nel contratto di coalizione, che proprio grazie all’ex leader prevede una linea tedesca molto più morbida del passato, in armonia con la Francia di Macron. Non deve accadere, adesso, a poche settimane dalla firma del contratto di coalizione, che l’Unione (Cdu-Csu) già cerchi di rivisitarl­o, frenando sul completame­nto dell’unione bancaria e sulla trasformaz­ione del meccanismo di stabilità Esm. Discorso pienamente condiviso da Nahles, per la quale «il contratto è un contratto e incalzerem­o perché sia rispettato lettera per lettera». Al di là dei numeri deludenti, la giornata è stata salutata

come un «momento storico» anche dal vicecancel­liere Olaf Scholz, che dal passo indietro di Schulz ha guidato il partito – nel quale è diventato potentissi­mo – in forma commissari­ale. È stato lui, oggi ministro delle Finanze, a ribadire che il progetto europeo sarà «centrale per la nostra generazion­e». Nella platea, fra i vip del partito anche un anziano, ex avversario, come Franz Munteferin­g, che ha applaudito il discorso della presidente e la chiusa ad effetto («ci riusciremo, prenderemo il toro per le corna, è una promessa») e l’ex ministro degli Esteri Sigmar Gabriel, messo alla porta dopo il duello con Schulz. L’eroina del giorno, che la stampa nazionale ribattezza “donna delle rovine” – come quelle che raccogliev­ano i detriti della guerra nel Paese distrutto – ha accolto con sguardo deluso il suo risultato. Ma un attimo dopo è scattata in piedi, per dire con ostentata decisione: «Sì, accetto l’elezione».

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KEYSTONE Una vita nel partito

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