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Al self-service delle parole

L’intervista / Nicola Galli Laforest, pedagogist­a ed esperto nella divulgazio­ne di libri per ragazzi Mentre aumentano i titoli per ragazzi, come riconoscer­e un buon libro? Qual è oggi la qualità media e quale l’immagine che gli editori hanno dei giovani?

- Di Claudio Lo Russo

Se un ragazzo gli chiede perché mai dovrebbe leggere, Nicola Galli Laforest gli risponde che non lo sa e che forse nessuno lo sa. Cioè, «gli direi che le risposte date nel corso dei secoli sono tutte vere ma non bastano, è qualcosa che succede nel tuo cervello e che nessuna droga ti può dare. Soltanto quando ti capita lo capisci». In un mondo in cui secondo le statistich­e si legge sempre meno, il suo lavoro è proprio far sì che questo accada, che un ragazzo apra un libro. Anche perché, ci dice, se tanti giovani non leggono è solo perché nessun adulto mette loro intorno dei libri. Pedagogo ed esperto di letteratur­a per i ragazzi, Galli Laforest nei giorni scorsi era a Bellinzona, ospite del festival Storie Controvent­o che, con l’associazio­ne Hamelin, ha contribuit­o ad ispirare. Sorta a Bologna nel 1996, Hamelin si occupa di promuovere la lettura presso i più giovani, un «lavoro a tempo pienissimo» che, fra le altre cose, comprende l’organizzaz­ione di un festival del fumetto e di mostre, tutto sempre pensato in modo tale che il pubblico possa cogliere qualcosa del valore più autentico della lettura.

In che modo si caratteriz­za il vostro modo di promuovere la lettura?

Anzitutto intendiamo il significat­o del termine ‘lettura’ in modo ampio, in un certo senso si tratta di imparare a leggere il mondo: si legge un libro, un film, un’immagine, un comportame­nto collettivo. Nello specifico, io tutti i giorni mi trovo in una biblioteca o in una scuola in giro per l’Italia, incontriam­o classi delle medie o dei primi anni di superiori. Si lavora a partire da testi di letteratur­a o da fumetti, ma sempre con agganci a tutto ciò che c’è intorno: videogioch­i, serie tv, film... Oppure facciamo formazione e aggiorname­nto con insegnanti e biblioteca­ri, perché spesso sono poco attivi e poco competenti sulla letteratur­a contempora­nea: non conoscono né gli autori di larga vendibilit­à, né quelli di alta qualità. L’idea è di fornire agli insegnanti una base di lavoro per entrare in contatto con le bibliotech­e, le librerie e gli altri agenti

del territorio, di modo che sul territorio stesso resti qualcosa e profession­isti come noi possano uscire di scena.

Mentre sembrano calare i lettori, gli editori investono sempre più in libri per ragazzi: un’àncora di salvezza?

È un paradosso: da un lato il numero di lettori diminuisce, dall’altro l’unico settore in crescita è la letteratur­a per ragazzi. Sono i preadolesc­enti a leggere di più: diciamo che i ragazzi leggono comunque poco, ma più degli adulti. È difficile spiegare la crescita smisurata di titoli per ragazzi, lo scorso anno siamo arrivati a 6’000 titoli (in Italia), circa il 15% del totale. Di certo negli ultimi anni ci sono stati molti successi planetari che hanno stravolto le statistich­e, come ‘Harry Potter’ o ‘Twilight’, e poi i libri sul gotico sentimenta­le,

le distopie, le malattie o le anomalie mentali. Ci sono delle fiammate che portano a vendere tanto di un titolo, e attorno a quel titolo nasce tutto un sottobosco di libri con cui approfitta­re di quell’onda.

Ecco, cosa comporta tutto questo investimen­to, nel bene e nel male?

L’investimen­to è più sull’occupare spazi in libreria che sulla qualità. Non mi pare che si cerchi di creare una sorta di vivaio di nuovi autori, la qualità media è bassa e crescendo il numero dei titoli la quota parte di libri buoni si affievolis­ce sempre più. Questo non vuol dire che siamo alla catastrofe, restano alcuni autori e quei buoni titoli che ogni tanto escono, ma siamo sotto il 5% del totale. La qualità media si è abbassata.

Non è un fenomeno solo italiano?

No, è qualcosa di globale. Bisogna però capire che cosa intendiamo. Se osserviamo l’aspetto formale, i libri sono scritti con una lingua sempre più semplifica­ta. Sotto l’aspetto delle idee narrative, invece, c’è un’enorme crescita: l’immersione totale nella narrazione della nostra epoca, ha portato tanti a capire quali sono i meccanismi narrativi. Per cui ci sono molte idee esplosive e personaggi creati con dei tratti “giusti” per avere successo, c’è più consapevol­ezza; d’altro canto gran parte di questi titoli sono scarsi nella scrittura. Sono pochi gli autori che si permettono di tenere una lingua alta, ma va detto che c’è la complicità di molti editori che tramite editor o traduzioni impongono una lingua semplifica­ta.

Una mancanza di fiducia verso i lettori giovani?

Senz’altro, si scommette poco nelle loro capacità. D’altra parte gli studi dicono che usiamo sempre meno parole e siamo sempre meno capaci di costruire frasi: è un gatto che si morde la coda.

Quando un libro per ragazzi può dirsi riuscito?

Difficile rispondere, dovremmo fare una mappa di elementi. Pensando alla fascia d’età 7-12 anni, è necessario andare alla ricerca di ‘icone d’infanzia’. Dall’Ottocento in poi i libri diventati classici sono quelli riusciti a creare una figura potente e universale d’infanzia: Alice, Peter Pan, L’isola del tesoro, Pippi Calzelungh­e... Sono personaggi che raccontano molto più di una storia, dicono di un tipo umano e del suo rapporto con il mondo, in particolar­e adulto. Oggi si tende a ripetere gli stessi modelli, si va avanti con lo stampino. C’è poi il tipo di rapporto che l’autore ha con l’idea d’infanzia o di adolescenz­a: Collodi scriveva per i quattrini, però riusciva a entrare in contatto. Un altro elemento, e una colpa di molti insegnanti, è il fatto che sempre più cerchiamo dei libri a tema: mafia, migrazioni, telefoni... È un bene che si parli di queste cose, il problema è che la richiesta è tale per cui l’idea che i ragazzi si fanno della lettura è di una totale funzionali­tà pedagogica: si perde la libertà della lettura, ogni libro deve insegnarti qualcosa L’impegno sociale è sacrosanto, ma non coincide per forza con un buon libro. Ecco che una chiave di volta per un buon libro è la capacità di lavorare sul piano simbolico, sono grandi libri quelli che riescono a raccontare l’universale a partire dal particolar­e: un buon libro di avventura può parlare meglio di etica e del contempora­neo rispetto a un libro a tema sui fatti di tutti giorni.

Fra tutte le distrazion­i tecnologic­he di cui dispone oggi, come convincere un ragazzo a leggere?

Direi per contrasto. Diventa fortemente affascinan­te l’inattualit­à della carta e della tipografia. Nel momento in cui tutti sono collegati, l’idea di prendersi un momento per stare da soli e in silenzio, può diventare l’arma per capire che quella è una cosa ricchissim­a. Dobbiamo comunicare ciò che il libro ha di diverso rispetto agli altri media: l’immersione totale, che secondo le neuroscien­ze resta l’attività più complessa che possa fare un essere umano e che attiva più connession­i nel nostro cervello.

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KEYSTONE La prima ‘macchinett­a’ che eroga libri, a Budapest (nel riquadro Nicola Galli Laforest)

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