Democrazia diretta: pregi e limiti
Il referendum lanciato dall’Udc vuole bloccare la sperimentazione della Scuola che verrà. Forse, per la prima volta, un atto fondante del nostro sistema democratico mi lascia interdetto. Sono cresciuto in una famiglia che ha dato grande importanza ai mezzi di espressione democratica diretta, quali iniziative e referendum, e questi principi costituzionali mi appartengono. Non discuto dunque la legittimità della scelta dell’Udc, ma qualcosa non mi convince, né come cittadino né come docente né come genitore. I promotori argomentano il referendum affermando che la sperimentazione equivale all’introduzione camuffata di un nuovo sistema scolastico, ritenuto inefficace rispetto al contesto socioeconomico attuale. Sostengono anche che non si sia dibattuto a sufficienza. Sono trascorsi quattro anni da quando si è iniziato a parlare di Scuola che verrà. La partecipazione al primo sondaggio è stata a mia memoria importante e dalle analisi è emerso come i principi fossero condivisi dalla stragrande maggioranza dei partecipanti. Furono semmai la mancanza di indicazioni sull’operatività a sollevare importanti scetticismi. A seguito di queste perplessità il gruppo di lavoro presentò dei modelli operativi più definiti, criticati a loro volta in modo puntuale e fermo, tanto che il gruppo dovette rivederli soprattutto per quanto riguarda i laboratori, gli atelier e l’aumento delle ore per i progetti d’istituto. Nel percorso cronologico a ritroso siamo giunti a settembre 2017, quando già si sarebbe potuta avviare la sperimentazione. Questo non avvenne perché il Gran Consiglio decise di rimandare il voto sul credito, in attesa degli approfondimenti del rapporto della Commissione scolastica. Si è così arrivati a un disegno nuovamente modificato, che presenta due varianti nella sperimentazione del laboratorio (due sedi di scuola media adotteranno una gestione diversa dei gruppi-classe voluta dal Plr). Una nuova modifica quindi, segno di apertura alle critiche. Oggi si avrebbe l’opportunità, anzi il dovere, di verificare se una riforma della scuola dell’obbligo sia o meno all’altezza di quanto previsto dai suoi promotori. Finalmente! E invece no! No perché questo referendum ritarda di un altro anno la sperimentazione, la cui organizzazione e valutazione vanno costruite e definite. I mesi da qui ad agosto avrebbero permesso di lavorare in modo efficace su questi aspetti. Ho purtroppo la sensazione che il reale intento di questo referendum sia dettato da altri motivi rispetto a quelli dichiarati. Spero che non ci sia tra questi anche il timore di vedere che un progetto tanto sofferto e criticato possa realmente funzionare. Perché impedirne altrimenti la sperimentazione? Più ci penso e più il dilemma si fa intenso. Sicuramente questo referendum ha un pregio: quello di farmi riflettere su potenzialità e limiti della democrazia diretta. Ritengo infatti che mettere in discussione le proprie certezze sia una spinta per la crescita. Spero che non sia però la scuola a pagarne dazio!