Il linguaggio della mafia e la via dei soldi
«Gli uomini di ’ndrangheta hanno sempre trovato il modo di parlare a tutti noi senza mai pronunciare una parola». Afferma il professore Vincenzo Ciconte, docente di Storia della criminalità organizzata all’Università di Roma Tre, ex parlamentare, consulente della Commissione parlamentare antimafia, intervenuto in una serata che si è tenuta ad Erba, nell’ambito della rassegna “4 colpi alla ‘ndrangheta”, la cui presenza nel Comasco – con radicamento in Ticino – è sempre più spesso sotto i riflettori accesi dalle inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Milano, dapprima guidata da Ilda Boccassini e da qualche mese da Alessandra Dolci. Una presenza che Ciconte, super esperto di criminalità organizzata, motiva con il fatto che «gli uomini di mafia sono arrivati e continuano ad arrivare al Nord perché ci sono uomini cerniera, uomini nati e cresciuti sia al Nord che in Svizzera che mettono in collegamento il mondo legale con la sfera illegale. Le cose non sono cambiate, anzi per certi aspetti sono peggiorate, per cui dobbiamo continuare a combattere questa battaglia politico-culturale senza illuderci che possa farlo solo la magistratura». Ciconte nel corso della serata molto partecipata ha parlato di omertà e del potere comunicativo della criminalità organizzata attraverso le nuove tecnologie. Si è inoltre soffermato, facendo una serie di esempi, sulla mafia che comunica senza aprire bocca. «Ad esempio quando viene ritrovato un morto ‘incaprettato’ sappiamo tutti benissimo che si tratta di un omicidio di mafia – ha esemplificato il docente –. Un morto ammazzato con dei soldi in bocca? È qualcuno che ha rubato all’organizzazione. Un sasso in bocca? Perché ha parlato troppo e il messaggio è fin troppo chiaro. Non c’è insomma bisogno di mettere i manifesti». C’è, poi, per il professor Ciconte un messaggio molto esplicito rivolto a coloro che nulla hanno a che fare con la criminalità organizzata: “Fatevi i fatti vostri”. Un messaggio molto efficace, rivolto soprattutto a magistrati e giornalisti. Ciconte: «Nel nostro Paese ci sono tanti criminali in libertà, mentre magistrati e giornalisti girano con la scorta. E ciò non è da Paese civile». Per l’esperto, così come aveva già indicato Giovanni Falcone, per combattere le mafie occorre seguire i soldi. A tutto i mafiosi sono disposti a rinunciare, ma non ai soldi. «Occorre rintracciarli nei santuari in cui sono nascosti» suggerisce lo storico della criminalità organizzata. E «una delle strade da seguire porta in Svizzera, soprattutto in Canton Ticino».