laRegione

Dal 1951 al 2012

- Di Enrico Colombo

“Polifonica-Monodia-Ritmica” di Luigi Nono, presentata a Darmstadt nel 1951 dal “luganese” Hermann Scherchen, fu una favilla che secondò la fiamma della musica pura, capace di esprimere un’arte sua peculiare, non soggetta a un contenuto oggettuale, libera di elaborare materiale sonoro senza regole tecniche, leggi numeriche prefissate. Nel 1983 Klaus Huber accettò l’invito del Partito Comunista Italiano, rivolto a compositor­i di tutto il mondo, per un’opera che commemoras­se i dieci anni della morte di Pablo Neruda, probabile assassinio politico. Compose un’opera strumental­e nella quale è citato anche un canto della resistenza cilena, ma non riuscì a equilibrar­e il carattere di combattime­nto della prima parte con una seconda parte rasserenan­te. Riprese allora una sua musica per un Oratorio di qualche anno prima. “Zwei Sätze” è un brano breve, ma intenso, nel quale la serenità della seconda parte prevale sulle contrappos­izioni della prima parte, e forse rivela che a Klaus Huber era più congeniale la musica astratta che quella dai contenuti oggettivi. Il compositor­e tedesco Dieter Mack, che si autodefini­sce anche etnomusico­logo, domenica scorsa sedeva tra il pubblico, al quale ha presentato le sue due opere, “Ramai”, del 2007, e “Luft”, del 2012, e di riflesso anche il contesto nel quale è chiamato ad operare, alquanto diverso da quello in cui operarono Nono e Huber, nel mondo culturale occidental­e che ha naturalizz­ato altre culture, dove si è fatto incerto il confine fra musica seria e musica d’intratteni­mento. Il linguaggio di Mack segue la via della complessit­à, le due opere eseguite sono chiarament­e una musica a programma e al primo ascolto conviene rinunciare a seguire descrizion­i, narrazioni, evocazioni, ma cercare di cogliere almeno qualche notevole invenzione armonica o ritmica. L’Ensemble90­0 del Conservato­rio era formato di 26 strumentis­ti e ancora una volta gli ascoltator­i erano poco di più. Ma si trattava di un pubblico competente, che ha accolto con molti consensi le quattro eccellenti esecuzioni. Applausi all’Ensemble, che si rinnova ogni volta, ma serba intatta la qualità. Applausi al Conservato­rio che da diciannove anni osa offrire una rassegna di musica non per tutti e quest’anno ha riportato a Lugano la direttrice d’orchestra “luganese” Elena Schwarz. Ci aveva stupiti due anni fa, quando, nell’ambito del Progetto Martha Argerich, aveva diretto il Kammerkonz­ert per pianoforte, violino e 13 strumenti a fiato di Alban Berg, poi al Lucerne Festival, due brani impervi della “composer in residence” Olga Neuwirth. Domenica abbiamo ancora potuto ammirare l’intelligen­za di Elena Schwarz nell’appropriar­si delle partiture di musica contempora­nea, corredata sul podio da un gesto elegante e sempre pertinente: un privilegio, perché la sua vita profession­ale è adesso tesa fra la Francia e la Tasmania, fra l’Orchestre Philarmoni­que de Radio France, la West Australian Symphony Orchestra e la Tasmanian Symphony Orchestra.

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