Libertà sulla bilancia
Clinica Sant’Anna contro ‘Il Caffè’: la sentenza venerdì 4 maggio. All’udienza di ieri a Bellinzona davanti al giudice Siro Quadri i quattro giornalisti hanno detto di aver raccontato i fatti e cercato di capire come fosse stato possibile l’errore del dot
C’è Enrico Morresi, già presidente del Consiglio di Fondazione del Consiglio svizzero della stampa. C’è Ruben Rossello, alla testa dell’Associazione ticinese dei giornalisti. C’è Beat Allenbach, ex TagesAnzeiger. Ci sono soprattutto giornalisti nel pubblico. Perché, sia che sfoci in un verdetto di assoluzione sia che si concluda con una sentenza di condanna, questo processo di primo grado contro quattro cronisti del ‘Caffè’ dirà qualcosa, qualcosa di importante, sulla libertà di espressione e sui limiti, ovvero fin dove può spingersi, il giornalismo d’inchiesta in Ticino. Il direttore del settimanale Lillo Alaimo, Libero D’Agostino, Stefano Pianca (rispettivamente vice e caporedattore all’epoca dei fatti imputati) e Patrizia Guenzi sono comparsi ieri nell’aula maggiore del Tribunale penale federale di Bellinzona, dove per l’occasione ha traslocato il pretore Siro Quadri, dopo essersi opposti ai decreti d’accusa emessi a loro carico nel febbraio 2017 dal pp Antonio Perugini con le relative proposte di pena (vedi scheda). Quattro decreti per ripetuta diffamazione e, nel caso di Alaimo, anche per infrazione alla legge sulla concorrenza sleale, innescati dalla denuncia della Clinica Sant’Anna di Sorengo, la struttura sanitaria privata in cui l’8 luglio del 2014 il dottor Piercarlo Rey ha asportato per sbaglio entrambi i seni a una paziente. Per la Procura e la Sant’Anna i giornalisti, con i loro diversi articoli usciti sul domenicale (cartaceo e online) fra il 15 maggio e il 24 luglio di due anni fa, avrebbero “reso sospetta di condotta disonorevole” la clinica: avrebbero insinuato il dubbio di una sua corresponsabilità nel grave errore medico, a causa di una presunta organizzazione problematica interna. Tesi contestata dai vertici della Sant’Anna, che ha quindi querelato i quattro cronisti. «Abbiamo raccontato i fatti – dice Alaimo al giudice –. Il nostro scopo era di capire come fosse stato possibile un simile errore nel 2014 in Svizzera, Paese nel quale si spende parecchio per la sanità e nel quale cliniche e ospedali hanno standard di sicurezza di regola elevati». E per capire, aggiunge il direttore del ‘Caffè’, si è partiti da ciò che la Commissione di vigilanza sanitaria, coordinata dal giudice Mauro Ermani, aveva scritto nel rapporto su quanto accaduto alla Sant’Anna nel luglio 2014. Il lavoro del chirurgo in clinica veniva paragonato dai commissari a quello di un acrobata: “Un acrobata che lavora senza rete protettiva”. Così nel documento i cui contenti, ricorda il giornalista al pretore, «li aveva svelati per prima ‘laRegione’». Una frase, quella messa nero su bianco dall’autorità di vigilanza, definita «grave». Che, secondo Alaimo, cronista di lungo corso, «non poteva non sollevare interrogativi, in noi e nell’opinione pubblica». Come non poteva non suscitare domande «il fatto che la clinica non avesse segnalato l’errore al Ministero pubblico».
‘Anche silenzi omertosi’
Insiste Alaimo: «Non avevamo altri obiettivi se non quello di chiarire giornalisticamente quanto avvenuto, senza sostituirci ai magistrati. Fin dall’inizio abbiamo raccolto più voci, interpellando pure il presidente della Sant’Anna Fulvio Pelli». Un’inchiesta giornalistica, gli fa eco D’Agostino, «che ci ha visti confrontati anche con silenzi deliberati, omertosi». E sottolinea: «Quanto da noi pubblicato era contenuto in documenti ufficiali. Abbiamo riportato fedelmente quello che avevamo appreso». Il paragone con l’acrobata che si muove senza la rete di protezione, rileva Pianca, «ci ha condotti in una prateria di quesiti». E se la clinica, afferma Guenzi, «si fosse messa nei panni della vittima dell’errore medico ora non saremmo in quest’aula». Dove c’è un grande assente: la pubblica accusa. Nei dibattimenti in Pretura penale la partecipazione del procuratore è facoltativa. Ma questo processo avrebbe meritato la presenza del pp. Sullo sfondo della vertenza Sant’Anna-Caffè c’è difatti il ruolo della stampa. Pianca: «Oggi a mia figlia non consiglierei di fare la giornalista, anche se la mia speranza è che fra quindici, vent’anni il retaggio di potentati ottocenteschi diventi un ricordo». Venerdì 4 maggio la sentenza.