Sgravi fiscali, perché?
Le misure fiscali in votazione il prossimo 29 aprile concernono principalmente la riduzione dell’onere fiscale sulle persone giuridiche (le aziende) e sulle persone fisiche che detengono un patrimonio superiore a 1,38 milioni di franchi. Vale la pena analizzare separatamente le motivazioni a supporto di queste misure. Iniziamo dalle persone fisiche, alle quali si vorrebbe ridurre l’aliquota massima dell’imposta sulla sostanza dallo 0,35 allo 0,25 per cento. Secondo le motivazioni presentate dal fronte del “sì” nell’opuscolo informativo allegato al materiale di voto, queste misure sono necessarie per due motivi fondamentali: rivedere la struttura “molto sociale” dell’imposizione ticinese ed evitare l’esodo di grandi contribuenti verso altri cantoni. Procediamo con ordine. In primo luogo, il fatto che in Ticino “l’1 per cento dei contribuenti paghi il 60 per cento delle imposte” è veramente sintomo di una fiscalità “molto sociale”? I dati allegati dal Consiglio di Stato nel comunicato stampa sulla Riforma fiscale e sociale mostrano che la spiegazione risiede piuttosto in una forte disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Infatti, il 23,6 per cento della sostanza imponibile è detenuta dallo 0,19 per cento dei contribuenti, mentre l’82 per cento di essi possiede un patrimonio che non raggiunge nemmeno la soglia minima d’imposizione. Consideriamo ancora lo 0,19 per cento dei più ricchi e paragoniamolo alla classe di contribuenti che detiene fra 200 e 250mila franchi di patrimonio, ovvero i “più poveri” tolti gli esenti da imposizione. Osservando l’aliquota media, constatiamo che a prima vista esiste una progressione sociale: i “più poveri” sono imposti allo 0,11 per cento e i più ricchi allo 0,34, dunque con un’aliquota tripla per i secondi. Considerando però il patrimonio detenuto, si passa da una media di circa 216mila franchi a una di più di 9 milioni e mezzo, ovvero 118 volte di più. Perciò, l’1 per cento più ricco dei contribuenti ticinesi paga quasi il 60 per cento delle imposte sulla sostanza non perché le aliquote sono particolarmente sociali, ma piuttosto perché questa minoranza di persone detiene la grande maggioranza del patrimonio imponibile. In secondo luogo, esiste veramente il rischio che i residenti con grandi patrimoni fuggano dal Ticino? Sì, ma ciononostante non si è assistito a nessuna fuga di massa negli ultimi anni e soprattutto questa riforma fiscale non risolverebbe il problema. Per farlo, bisognerebbe diventare il cantone con le aliquote più basse in Svizzera, ma chi ci ha provato, oggi presenta conti pubblici disastrati, come dimostrano i casi di Zugo e Lucerna. La concorrenza fiscale intercantonale è un gioco fratricida, al quale bisognerebbe sottrarsi, invece di entrarvici senza remora. Affermare che non è possibile evitarla perché “così fan tutti” è inoltre indice di una politica che non sa più essere proattiva, ma che segue acriticamente le tendenze in corso, senza minimamente cercare né di arrestarle né di perlomeno trovare delle alternative. Un discorso analogo può essere fatto per la fiscalità delle aziende. Il rischio di fuga (anche all’estero) è sempre presente, ma partecipare a una corsa fiscale al ribasso senza limiti non può essere la soluzione. L’obiettivo dovrebbe essere quello di costruire condizioni tali da attirare aziende intenzionate a investire sul medio-lungo termine in Ticino. Oggigiorno, la produzione è fortemente legata alle interazioni fra diverse aziende e fra aziende e altre realtà (Università, centri di ricerca ecc.). Ampliare le possibilità di sinergia con le realtà economiche di punta già presenti sul territorio dovrebbe essere un obiettivo. A esso bisognerebbe aggiungere un maggiore controllo nel mercato del lavoro, per arrestare il dumping salariale in atto (quasi la metà dei contribuenti ticinesi ha un reddito inferiore a 3’500 franchi al mese). Per fare ciò lo Stato necessita di risorse, che mancheranno qualora questa Riforma fiscale dovesse essere accettata.