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Con l’oboe superstar

- Di Enrico Colombo

Da melomane della seconda metà del Novecento ho vissuto nel 1959 l’arrivo sulla scena di Heinz Holliger, fresco vincitore del Concorso di Ginevra, che per il suo fraseggio, le sue peculiarit­à timbriche è diventato nella memoria soggettiva il solista di oboe di riferiment­o, tanto nel repertorio classico, quanto nella babele di linguaggi della musica contempora­nea. E anche un operatore culturale di grande rigore, che non ha mai assecondat­o i gusti facili del pubblico, ha sempre cercato di imporre ascolti impegnativ­i: la cultura come lavoro, non come passatempo. Mi piace pure ricordare quanto ha fatto per portare in Svizzera la musica di Elliott Carter e di riflesso quella di Ysang Yun, un modo certo di ravvivare la domanda intrigante: quali autori, quali musiche del nostro tempo avranno fra qualche secolo un posto importante nella storia della musica?

Heinz Holliger, con il suo impegno a tutto campo, è arrivato anche alla composizio­ne e alla direzione d’orchestra. Il recensore deve rischiare l’accusa di codardo oltraggio e salvarsi almeno da quella di servo encomio: Holliger ha qualità di compositor­e e di direttore non pari a quella di strumentis­ta, come ha dimostrato ancora in modo flagrante venerdì scorso alla testa dell’Orchestra della Svizzera italiana.

La “Maurerisch­e Trauermusi­k” K 477 di Mozart e la Sinfonia n. 2 di Schubert, che hanno aperto e chiuso il programma, hanno sofferto di una lettura scialba, non certo imputabile all’ottima orchestra.

“Ostinato funebre”, che Holliger ha composto nel 1991, è una succession­e di gesti, tra i quali fatico a trovare un filo conduttore (e non sono al primo ascolto). Gli strumenti sono usati per produrre più rumori che suoni per i quali sono costruiti. Un modo di comporre accolto con interesse all’inizio del Novecento, tollerato alla fine, ma non più sdoganabil­e nel nostro secolo. Il Doppio concerto per oboe, arpa e orchestra da camera, opera di Witold Lutoslawsk­i del 1980, impiega un’importante percussion­e e consente espression­i appassiona­te, dolenti, grottesche, come si legge nelle indicazion­i dei tempi. Oboe e arpa hanno una parte dominante, sovente soli con l’orchestra che tace, ma dovrebbero essere assistiti da un direttore. Holliger è stato affiancato dall’arpista Andreas Mildner e, mi sembra, assieme non sono riusciti a compensare l’assenza di un direttore, così anche il brano centrale del programma ha avuto un’esecuzione assai scialba.

Domenica il riscatto: Heinz Holliger, primus inter pares tra dodici magnifici strumenti dell’Osi, ha partecipat­o a una bella, vivacissim­a esecuzione della Gran Partita K 361 di Mozart, 50 minuti di grande musica, di piacere condiviso da esecutori e ascoltator­i. Mi scappa di dire: che meraviglia il primo clarinetto e il contrabbas­so. Così faccio torto agli altri undici fiati, altrettant­o bravi, tutti gratificat­i dagli applausi calorosi del pubblico, che hanno compensato quelli più trattenuti di venerdì.

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