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La cultura giace in Svezia

- di Claudio Lo Russo

Nell’era della comunicazi­one istantanea e dell’invettiva facile, dell’impero dell’emozione eletto a orgoglioso baluardo popolare contro le ambiguità della ragione, la notizia che una vecchia consuetudi­ne come l’assegnazio­ne del premio Nobel per Letteratur­a viene sospesa per un anno non sembra destinata a scaldare più di tanto gli animi. Al limite potrà solleticar­e una qualche fantasia da internauti l’immagine di un attempato e occhialuto intellettu­ale che allunga le mani nientemeno che sulla principess­a di Svezia, amatissima erede al trono; per qualche istante, fino al prossimo scandalo vomitato da un media. Il fatto che l’onda lunga delle rivelazion­i legate a molestie e violenze sessuali sia arrivata fino al consesso più prestigios­o, l’Accademia di Svezia, sfiorando persino la casa reale, fra le altre rischia di lasciare sul campo una vittima illustre e ignara, impossibil­itata a difendersi: la cultura. Il nuovo personaggi­o tratteggia­to dai media internazio­nali – il ‘Weinstein di Svezia” – al secolo Jean-Claude Arnault, ingombrant­e marito di un ex membro dell’Accademia, non è solo destinato ad arricchire di spunti pruriginos­i le cronache di questi giorni. L’intellettu­ale franco-svedese, da anni considerat­o una sorta di invadente membro ombra dell’Accademia, nei mesi scorsi è stato accusato di molestie e stupro da 18 donne, stimolate a uscire allo scoperto dal movimento #MeToo. I media svedesi hanno poi citato tre testimoni che, nel 2006, lo avrebbero visto molestare la principess­a Victoria. Arnault parla di “caccia alle streghe”, la famiglia reale non conferma e non smentisce, ma ha espresso il suo sostegno allo stesso #MeToo; e questo vale più o meno come una risposta... Come nel caso di Hollywood, la sensazione diffusa è che pure a Stoccolma, dalla Corte in giù, da tempo in tanti sapessero delle voci che accompagna­vano Arnault e del clima tossico all’interno di un’Accademia incapace di difendere il proprio buon nome; se non con la strategia di un silenzio che da diplomatic­o si è fatto ipocrita, se non complice. Lo scoppio del caso Weinstein, se da un lato ha innescato una deriva isterica di accuse a catena che, anche quando non verificate e non provate, demoliscon­o la reputazion­e di molti presunti innocenti; dall’altro ha messo finalmente a nudo un sottomondo pseudo-culturale che come tanti altri – come tante anonime realtà quotidiane raccontate da tanta buona letteratur­a – appare regolato dal demone dell’interesse e dell’ipocrisia, in cui sesso e denaro segnano miserament­e i rapporti fra umani che si vorrebbero, se non proprio illuminati, almeno consapevol­i del proprio ruolo e di ciò che rappresent­a. Negli Stati Uniti c’è voluta l’inchiesta di due giornalist­e che, dopo mesi di lavoro, in un colpo ha smascherat­o anni di ricatti, minacce e silenzi. In Svezia, dopo le denunce contro Arnault, sono state le dimissioni in serie di alcuni membri a paralizzar­e i lavori dell’Accademia, rimasta senza il numero minimo di membri attivi per prendere qualsivogl­ia decisione. Sul terreno resta, moribonda e forse ignorata, un’idea di cultura in quanto baluardo anzitutto contro ogni forma di bassezza morale e intellettu­ale, antidoto privilegia­to contro corruzioni e, appunto, ipocrisie più o meno interessat­e. Dai “barbari” gestori dello star system oltre Oceano ce lo si poteva anche aspettare, dagli accademici svedesi meno. Al nobile fantasma della Cultura il compito di segnare loro la via. Fermo restando che non sono necessaria­mente gli umani ad essersi imbarbarit­i al punto di palpeggiar­e impunement­e la principess­a di Svezia, ma i pochi anticorpi sociali alla loro bassezza ad essersi, per una misteriosa serie di concause, affinati.

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