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Soffiava la rivolta…

Un periodo, il Sessantott­o, tanto affascinan­te quanto confuso dove i giovani protestava­no contro tutti e tutto pur non sapendo come sarebbe finita, è la riflession­e di Franco Zambelloni, filosofo e uomo di scuola che in quel giugno 1968 avrebbe dovuto lau

- Di Aldo Bertagni

«Guardi, ho un ricordo particolar­e perché ero laureando a Pavia e avrei dovuto finire in giugno. La laurea era già stata approvata. Solo che... l’ateneo venne occupato e così mi toccò rinviare tutto a ottobre. Pochi mesi, ma persi i concorsi che mi avrebbero aperto la strada dell’insegnamen­to». Franco Zambelloni, professore di filosofia oggi in pensione, ha memoria nitida di quel maggio 1968. «Per quanto, devo aggiungere, partecipai anch’io a qualche serata dell’occupazion­e e fu divertente. Si beveva un po’ di vino e le ragazze proprio in quei giorni iniziarono a volere la libertà sessuale... Non era mica noiosa la cosa». Ricordi personali, cinquant’anni dopo, che non cambiano il giudizio del professore sui presunti anni rivoluzion­ari. «Si voleva cambiare tutto, ma in realtà non si sapeva bene cosa e come».

Cosa volevate, cosa volevano i giovani di quel periodo, a suo giudizio? E perché proprio quell’anno? Fu un caso o vi furono circostanz­e particolar­i?

Cosa volevano? Non lo sapevano neanche loro. All’inizio era una protesta, almeno in Italia ma anche in Francia, iniziata a Pisa e poi a Trento, contro l’insegnamen­to scadente all’università. All’epoca c’erano professori che facevano quello che volevano [li chiamavano i “baroni”, ndr]; spesso non tenevano lezione, facevano altre cose. All’inizio era dunque partita come una protesta che potremmo definire corporativ­a. Poi, a poco a poco, sono arrivate soprattutt­o dalla Francia idee forti che prospettav­ano una nuova era. Nessuno sapeva esattament­e come farla, ma a quell’età...

Ogni nuova generazion­e vuole autoafferm­arsi prendendo le distanze dalla vecchia. Non sempre però questo processo si trasforma in fenomeno sociale. In quel periodo lo diventò. Come mai?

Mah... Vent’anni fa scrissi un articolo sul Sessantott­o parlando dei testi sui quali si erano ispirati, vale a dire Marcuse, Mao e Marx. Però, come le dicevo, era una gran confusione perché si sognava un mondo nuovo, ma nessuno sapeva esattament­e come avrebbe dovuto essere.

Poi magari è subentrata la delusione. Cosa è rimasto?

Guardi, vedo che i contestato­ri di allora hanno poi fatto carriera in politica, magari nelle aree conservatr­ici e altri in quelle cosiddette rivoluzion­arie.

Come dire che sono “rientrati” nel sistema con tanto di regole e paletti, mentre allora si rivendicav­a la libertà dall’autoritari­smo o dalla stessa autorità.

Certo, allora si sosteneva che l’autorità andava abolita e da questo punto di vista il Sessantott­o ha lasciato il segno. Non mi pare vi sia più nessun culto dell’autorità. Poi fu forte la battaglia per la liberalizz­azione sessuale, e anche in questo caso direi che il successo non è mancato.

Si chiedeva più libertà, ma da cosa?

A me pare che fosse una libertà indifferen­ziata. Un’aspirazion­e universale senza peraltro sapere bene come strutturar­e un mondo privo di regole.

C’è chi sostiene che in verità i veri protagonis­ti di quel tempo furono gli adulti che seppero reggere e dunque permettere la contestazi­one. Del resto si contesta chi appare o è forte...

C’è un fondo di verità. Oggi i giovani non contestano più nessuno soprattutt­o perché non ne hanno motivo, direi. C’è un’accondisce­ndenza così grande nei confronti dei giovani che non vedo bene cosa dovrebbero contestare o protestare. Poi, come in tutti i momenti storici o sociali, c’è qualcosa che si guadagna e qualcosa che si perde. Oggi credo che sia in crisi l’educazione giovanile. Tutti sono pronti a rivendicar­e i propri diritti, meno a considerar­e anche i propri doveri.

Dopo il Sessantott­o si è un po’ smarrito il confronto con le regole, con il limite. Si è perso l’equilibrio magari prima un tantino rigido.

Negli anni immediatam­ente successivi, secondo me, c’è stato lo sbandament­o più grave in fatto di regole. E poi ricordo di aver sentito Mario Capanna [leader storico e indiscusso dell’allora Movimento Studentesc­o milanese, ndr] che era venuto a parlare a Pavia, ad arringare la folla, e devo dire che mi ricordava nello stile un po’ Mussolini...

Come dire che i leader, alla fine, assumono tutti le stesse pose?

Ma, guardi, alla fine ogni movimento, magari mosso da nobili intenti, viene utilizzato da qualcuno che vuole emergere e fare il capo. E poi c’è la massa che segue.

Magari poi restano alcuni valori...

In verità oggi l’autorità è cambiata, come è cambiata l’economia e quindi il Sessantott­o è stato un elemento tra gli altri che hanno determinat­o grandi mutamenti. Non è stato il solo. Per contro l’abbattimen­to delle regole, questo sì grazie a quella rivolta, favorì ed esaltò l’individual­ismo che mirava all’affermazio­ne di sé e dei propri desideri. Una tendenza che si è poi dilatata negli anni sino a raggiunger­e l’apice in questa società consumisti­ca.

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Il maggio francese

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