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Ciao, sono il tuo frigo

- Di Matteo Caratti

Google ci fa sapere che entra nel mercato degli oggetti connessi con Android Things: un sistema operativo dedicato all’internet delle cose, cioè a quell’insieme di luci, frigorifer­i, tapparelle e termostati e quant’altro, collegato in rete e gestibile da smartphone. L’annuncio anticipa la Google I/O, l’annuale conferenza degli sviluppato­ri di Mountain View. Siamo chiarament­e di fronte a un salto (con l’asta) di livello. Per i più, l’internet delle cose è e sarà un qualcosa di molto pratico e superlativ­o, visto che dal nostro smartphone si potrà gestire persino il frigo di casa.

Segue dalla Prima La novità ti permetterà di sapere, quando sei ancora in ufficio, se una volta giunto a casa hai tutto per cucinarti, metti, una pizza. Ti permetterà di evitare le arrabbiatu­re se solo in serata scopri che – accidenti – ti mancava proprio la mozzarella. Dal frigo all’automobile. In un comunicato, giunto ieri in redazione, il Touring Club ci informa che le applicazio­ni a distanza per auto (le remote-apps), sempre più di moda – che ci consentono di leggere in tempo reale, su smartphone e tablet, un gran numero di dati del veicolo (chilometra­ggio, livello carburante, intervalli fra i servizi, pressione delle gomme ecc.) –, hanno anche un potenziale rovescio della medaglia. Tutte funzioni confortevo­li – annota il Tcs – ma che offrono l’opportunit­à pure ai malintenzi­onati di monitorarc­i ed entrare in azione... Per questo il paladino degli automobili­sti presenta anche i risultati di un suo test sulla sicurezza di tali novità. Insomma, se permettiam­o che attraverso l’internet delle cose una crescente massa dei nostri dati venga registrata – da cosa abbiamo comperato e messo in frigo, a dove ci siamo recati in auto, a quando abbiamo alzato o abbassato le tapparelle… – dobbiamo anche essere sicuri che non venga sfruttata da terzi. Da chi? Be’, per esempio da una cassa malati o da una semplice assicurazi­one che desiderano sapere cosa abbiamo mangiato, a che ora abbiamo tolto quel prodotto dal frigo – perché fa male sgranocchi­are dopo certi orari –, per non parlare delle birre che beviamo. E questo limitandoc­i anche soltanto a quanto si potrà sapere su ciascuno di noi registrand­o l’attività tutto sommato secondaria del nostro frigo… La chiamano internet delle cose, ma è e sarà sempre più una gigantesca messe di dati, anche molto personali, che abbiamo già visto poi nelle mani di chi possono finire. Nella migliore delle ipo- tesi di operatori con interessi commercial­i; nella peggiore di manipolato­ri della mente o di clonatori delle identità. Più grandi fratelli di così… alimentati – colmo dei colmi – da noi stessi. Ri-benvenuti nel nuovo mondo.

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