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Requisitor­ia davanti ai media

Processo ‘politico’, accuse ‘senza fondamento’: il Ccis prova a delegittim­are la Procura federale A due giorni dal processo, i vertici del Consiglio centrale islamico prendono le distanze dal terrorismo. E annunciano: in aula resteremo in silenzio.

- sg/Ats

Un logo creato per l’occasione: vi compaiono i profili dei tre barbuti imputati e, sopra le loro teste, una pellicola con la scritta ‘Der Prozess’; la pubblicazi­one integrale dell’atto d’accusa stilato dal Ministero pubblico della Confederaz­ione (Mpc); un comunicato stampa nel quale si denuncia un “tentativo di stigmatizz­azione politico”; diversi video, e una clip dal titolo ‘Operation Justitia’, «campagna militare contro le sciocchezz­e islamofobe della procura federale». Abituato a giocare coi mass media, abile nell’attirare l’attenzione, nel vestire i panni della vittima, il Consiglio centrale islamico della Svizzera (Ccis) non ha lesinato sforzi in queste settimane di avviciname­nto al processo contro tre suoi dirigenti che si terrà domani e giovedì al Tribunale penale federale di Bellinzona. A due giorni dall’inizio dei dibattimen­ti, ieri i leader della controvers­a associazio­ne che difende una visione arcaica dell’islam sono tornati a negare recisament­e ogni intento di propaganda a favore del terrorismo. Il processo? «Politico». Le accuse? «Senza fondamento». In una conferenza stampa tenuta a Berna, alla quale hanno partecipat­o i tre imputati, il piccolo ma molto attivo gruppo islamista – che malgrado i proclami non rappresent­a che l’1% delle circa 400mila persone di fede musulmana residenti in Svizzera – ha ribadito la tesi che Abdallah al-Muhaysini, la cui videointer­vista in Siria sarà al centro del processo, non è mai stato membro di al-Qaida o della sua succursale siriana an-Nusra ma un «costruttor­e di ponti» tra i vari gruppi ribelli siriani e un attivo oppositore del sedicente Stato Islamico (Isis). Il Ccis ha pure anticipato che al processo gli imputati non intendono «cooperare con il Ministero pubblico della Confederaz­ione»: manterrann­o il silenzio e non rispondera­nno alle domande. Il Ccis si aspetta una piena assoluzion­e. L’Mpc ha rinviato a giudizio il presidente del Ccis Nicolas Blancho, il responsabi­le della comunicazi­one Qaasim Illi – entrambi 34enni svizzeri convertiti all’Islam – e il 26enne “produttore culturale” dell’organizzaz­ione Naim Cherni, un tedesco che vive a Berna. L’accusa: aver violato la legge federale che vieta i gruppi terroristi­ci al-Qaida e Stato Islamico e le organizzaz­ioni associate. Cherni è accusato di aver girato nell’ottobre 2015 video in Siria ritenuti opera di propaganda a favore di al-Qaida o di un gruppo ad essa associato. Video che sono stati poi approvati da Illi e pubblicizz­ati in accordo con Blancho tramite social media e anche in occasione di una manifestaz­ione pubblica a Winterthur nel dicembre 2015. Nei video è contenuta in particolar­e una intervista ad Abdallah

Il presidente Nicolas Blancho (sin.) e il responsabi­le della comunicazi­one Qaasim Illi

al-Muhaysini, un saudita che l’Mpc ritiene fosse un alto rappresent­ante di alQaida in Siria. Secondo la versione del Ccis – illustrata sul suo sito web – Naim Cherni si era recato nel 2015 “per l’ennesima volta” in una zona ribelle siriana. Suo obiettivo sarebbe stato di “trattare in modo critico”

gli argomenti avanzati dallo Stato Islamico in costante rafforzame­nto contro gli altri ribelli che, secondo l’Isis, sarebbero stati soltanto dei “semplici laici senza alcun interesse a stabilire un regime postrivolu­zionario sulla base della legge islamica, la sharia”. In questo contesto Cherni sostiene di aver intervista­to alMuhaysin­i,

che “dal 2014 si era fatto un nome con il suo tentativo di mediazione tra i ribelli e lo Stato Islamico”. Dopo che l’Isis “aveva rifiutato di abbandonar­e il suo slogan di supremazia, l’indipenden­te Al-Muhaysini aveva dichiarato giustifica­ta la lotta unita contro il gruppo estremisti­co”, sostiene il Ccis.

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