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Addio al papà dei radical chic

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E così Tom Wolfe è morto proprio nell’anno in cui si celebra il centenario di Leonard Bernstein, il grande compositor­e e direttore d’orchestra che – con un party di raccolta fondi con le Pantere Nere – diede a Wolfe la possibilit­à di coniare una delle sue più celebri etichette, quella di ‘radical chic’. Nato a Richmond, in Virginia, viveva a New York dal 1962, quando era entrato come reporter al ‘New York Herald Tribune’ dopo un breve passaggio al ‘Washington Post’. In quegli anni, usando tecniche narrative della fiction nelle sue opere di saggistica, Wolfe diede vita a quel fenomeno ibrido e di grande influenza del New Journalism, una forma di reportage all’insegna del “raccontare, raccontare, raccontare”. Famoso per la sua satira graffiante, ma anche per l’eleganza azzimata dell’abito con gilet color vaniglia confeziona­to per lui dal sarto di sempre, il newyorches­e Vincent Nicolosi, e indossato come un’uniforme sulla camicia di seta a righini dal colletto inamidato bianco quando andava a passeggio di Madison Avenue. “Neo-pretenzios­o”, si era definito una volta, facendo dell’ironia su se stesso. Il suo debutto in libreria risale al 1965 con la raccolta di articoli ‘Kandy-Kolored Tangerine-Flake Streamline Baby’ (tradotto da Feltrinell­i come ‘La baby aerodinami­ca color karamella’), la prima di nove opere di non-fiction, sulla California della controcult­ura. L’ultimo suo libro è ‘Il regno della parola’, una appassiona­ta difesa del linguaggio e una critica feroce – e dilettante­sca, ma non si può avere tutto – a Darwin e a Chomsky. In mezzo, due libri di grande successo. ‘The Right Stuff’ del 1979 sulla prima squadra di astronauti della Nasa, adattato per il cinema con Sam Shepard, Dennis Quaid e Ed Harris fece del pilota collaudato­re Chuck Yeager un eroe culturale, oltre a introdurre un altro idioma nella lingua inglese. E poi il ‘Falò delle Vanità’ – anch’esso diventato film sotto la direzione di Brian De Palma –, ispirato nel titolo alla Firenze di Savonarola e inizialmen­te pubblicato a puntate su ‘Rolling Stone’ e approdato come libro nel 1987, offrendo, con la storia del trader Sherman McCoy e del reporter in cerca di uno scoop salva-carriera Peter Fallow, una satira graffiante degli eccessi dei ricchi nella New York negli anni Ottanta. Per molti Wolfe era “lo scrittore con più talento d’America”, come scrisse di lui su ‘National Review’ William Buckley Jr. apprezzand­olo come “un maestro delle parole”. ANSA/RED

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KEYSTONE Tom Wolfe (a sinistra)

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