laRegione

Visages villages

- Di Cristina Pinho

Segue da pagina 17 E lui, street artist francese, celebre per i suoi enormi collage fotografic­i, poco più che trentenne, con cappello e occhiali scuri che non toglie mai, come il giovane Godard. Estimatori dei reciproci lavori, decidono di intraprend­ere insieme questo viaggio, per immortalar­e le persone con cui vengono in contatto e incollarne le immagini in formato gigante su grandi manufatti all’aperto. I ‘visages’ e ‘villages’ del titolo sono dunque i soggetti e i luoghi di questi incontri, ognuno con la propria piccola storia, che davanti a un pubblico accorso sul posto, o a noi spettatori del film, emerge dagli interstizi dell’umanità, si rivela, e diventa corale, parte del racconto della comunità. Lo sguardo della coppia e quello della macchina fotografic­a e da presa vanno a posarsi su persone comuni, che con queste immagini imponenti vengono ricollocat­e al centro del paese, del posto in cui abitano o lavorano, dando loro un nuovo spazio nel mondo. C’è chi si sente grande e forte, con la sensazione di dominare meglio la propria vita da lassù; ma anche chi si sente esposto ed esibito. Si tratta di un dispositiv­o che interroga e mette a confronto costanteme­nte con sé stessi e gli altri. Come costante è anche il confronto tra Agnès e JR, il cui rapporto fatto di una complicità giocosa intenerisc­e e conquista lo spettatore fin dalle prime scene. Seduti fianco a fianco, oppure lei da terra e lui sulle impalcatur­e – “operaio del collage” – , sognano in grande, e ciò che sognano realizzano. Per liberare: la fantasia, le possibilit­à e la bellezza delle piccole esistenze che vengono in un certo modo riscattate. È un film pieno di sorrisi contagiosi, che coglie la capacità di emozionars­i delle persone di fronte a qualcosa di apparentem­ente semplice come la propria fotografia in formato gigante. Occhi pieni di gratitudin­e per qualcuno che ha saputo dar loro valore. Anche i luoghi discosti e i villaggi abbandonat­i ritrovano un nuovo fermento rianimando­si grazie a questi murales che attirano sguardi interessat­i e meraviglia­ti. Gallerie a cielo aperto che portano la vita dove talvolta era sparita. Il film ci parla dunque di incontri, di scambi, di fili che si tessono e di rapporti che si creano, tra i luoghi, le persone e le loro rappresent­azioni. E lo fa spesso attraverso delle “images en abyme”, come scatole cinesi o specchi che si riflettono tra loro, con costanti rimandi all’origine di ogni atto visivo: gli occhi. Ognuno vede a suo modo – Agnès sfocato per la malattia, JR scuro per via gli occhiali da sole – ma ognuno è felice così, ci dicono. E questa capacità di “catturare lo splendore del vero”, per riprendere da dove siamo partiti, ci restituisc­e una concezione del mondo che ripone speranza nell’avvenire e ci predispone a fare altrettant­o.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland