Visages villages
Segue da pagina 17 E lui, street artist francese, celebre per i suoi enormi collage fotografici, poco più che trentenne, con cappello e occhiali scuri che non toglie mai, come il giovane Godard. Estimatori dei reciproci lavori, decidono di intraprendere insieme questo viaggio, per immortalare le persone con cui vengono in contatto e incollarne le immagini in formato gigante su grandi manufatti all’aperto. I ‘visages’ e ‘villages’ del titolo sono dunque i soggetti e i luoghi di questi incontri, ognuno con la propria piccola storia, che davanti a un pubblico accorso sul posto, o a noi spettatori del film, emerge dagli interstizi dell’umanità, si rivela, e diventa corale, parte del racconto della comunità. Lo sguardo della coppia e quello della macchina fotografica e da presa vanno a posarsi su persone comuni, che con queste immagini imponenti vengono ricollocate al centro del paese, del posto in cui abitano o lavorano, dando loro un nuovo spazio nel mondo. C’è chi si sente grande e forte, con la sensazione di dominare meglio la propria vita da lassù; ma anche chi si sente esposto ed esibito. Si tratta di un dispositivo che interroga e mette a confronto costantemente con sé stessi e gli altri. Come costante è anche il confronto tra Agnès e JR, il cui rapporto fatto di una complicità giocosa intenerisce e conquista lo spettatore fin dalle prime scene. Seduti fianco a fianco, oppure lei da terra e lui sulle impalcature – “operaio del collage” – , sognano in grande, e ciò che sognano realizzano. Per liberare: la fantasia, le possibilità e la bellezza delle piccole esistenze che vengono in un certo modo riscattate. È un film pieno di sorrisi contagiosi, che coglie la capacità di emozionarsi delle persone di fronte a qualcosa di apparentemente semplice come la propria fotografia in formato gigante. Occhi pieni di gratitudine per qualcuno che ha saputo dar loro valore. Anche i luoghi discosti e i villaggi abbandonati ritrovano un nuovo fermento rianimandosi grazie a questi murales che attirano sguardi interessati e meravigliati. Gallerie a cielo aperto che portano la vita dove talvolta era sparita. Il film ci parla dunque di incontri, di scambi, di fili che si tessono e di rapporti che si creano, tra i luoghi, le persone e le loro rappresentazioni. E lo fa spesso attraverso delle “images en abyme”, come scatole cinesi o specchi che si riflettono tra loro, con costanti rimandi all’origine di ogni atto visivo: gli occhi. Ognuno vede a suo modo – Agnès sfocato per la malattia, JR scuro per via gli occhiali da sole – ma ognuno è felice così, ci dicono. E questa capacità di “catturare lo splendore del vero”, per riprendere da dove siamo partiti, ci restituisce una concezione del mondo che ripone speranza nell’avvenire e ci predispone a fare altrettanto.