Pensatore errante
Personaggi di vistosa originalità bizzarra nel racconto lungo che, tra il grottesco e il paradosso, esce dai confini di genere
L’improntitudine è un carattere evidente nell’opera di Thomas Bernhard. Ed è una forma di improntitudine totale, che investe le opinioni, i contenuti delle sue opere ma anche la forma, il dettaglio stilistico della sua prosa. E questo lo vediamo bene in ‘Camminare’, appena proposto da Adelphi nella traduzione di Giovanna Agabio. Si tratta di un’opera che sostanzialmente esce dai confini di genere, che potremmo definire, con molta approssimazione, un racconto lungo, un flusso ininterrotto, dove la singolarità proterva quanto necessaria di Bernhard acquista un’energia considerevole, nell’inconfondibile procedere della scrittura. Potente, insomma, e insieme provocatorio. Il rapporto introdotto è quello tra camminare e pensare, e i camminatori sono alcuni personaggi di vistosa originalità bizzarra e insieme ostinatamente riflessivi. Oehler, il primo interlocutore del camminatore narrante, esprime concetti estremi e sinistri con sinistra convinzione. Per esempio: “L’intero processo vitale è un processo di peggioramento”, o, poco oltre: “Tutta la storia è una storia totalmente priva di intelletto [...] completamente morta”. Ma non è il caso di farsi imbrigliare in questa negatività totale, perché Bernhard naviga nel grottesco e nel paradosso, nell’eccesso e, appunto, nella propria fiera improntitudine. Il testo non concede pause, si fa beffe di regole elementari della narrazione come in un racconto orale incalzante e frenetico e comprende anche una sorta di vicenda narrativa minimale e insistita nelle continue ripetizioni interne.
La virtù dei grandi scrittori è quella di antivedere, di capire lo svolgersi delle cose del mondo con anticipo
Un amico dell’io narrante e di Oehler è un certo Karrer, da poco “definitivamente” impazzito e ricoverato allo Steinhof di Vienna. La sua già traballante mente era stata sconvolta dal suicidio dello scienziato Hollensteiner, portato a questa tragedia finale a causa dell’indifferenza dello Stato. E infatti, osservazione notevole di Oehler: Hollensteiner non ha significato nulla per lo Stato perché non ha significato nulla per la massa” e, d’altra parte, aggiunge che Stato, società e massa “fanno di tutto per eliminare il pensiero”. Ricordiamo che Bernhard morì nell’89 e pubblicò questo libro nel ’71... Chissà cosa direbbe oggi il suo Oehler... Ma il grottesco raggiunge il vertice quando si tratta dell’impazzimento di Karrer, il quale entra con lo stesso Oe-
hler in un negozio di abbigliamento e inizia una feroce discussione con i negozianti sui pantaloni che si fa mostrare, che mette controluce per coglierne i punti radi del tessuto e sostenere, esacerbato e maniacale, che si tratta di tessuti di scarto cecoslovacchi. Un furibondo litigio su un’inezia, una tragedia
sul nulla, all’interno della quale, peraltro, spuntano segnali di luminosa acutezza, come quando lo stesso folle Karrer afferma, parlando della propria epoca: “Una simile artificialità non è mai esistita. [...] Ovunque lei guardi non vede altro che artificialità”. Un’osservazione di impressionante verità, soprattutto se rapportata al nostro presente. Un’osservazione che conferma una virtù dei grandi scrittori, che è quella di antivedere, di capire lo svolgersi delle cose del mondo con anticipo. E dunque camminiamo insieme a Bernhard, e con lui camminando, naturalmente, pensiamo.