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Meno sbarchi, meno morti, ma le traversate diventano più pericolose

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Calano gli sbarchi e diminuisce il numero di morti nel Mediterran­eo nei primi mesi del 2018. Che cosa succede? Forse che il cammino dei migranti si è fermato? Che le cause del loro movimento si sono esaurite? No, per niente. Una lettura attenta dei dati delle agenzie dell’Onu, di Frontex (l’agenzia europea di controllo delle frontiere esterne) e delle Ong che monitorano il ‘traffico’ delle imbarcazio­ni e soccorrono i migranti in mare fornisce un quadro ben problemati­co. Intanto, nei primi quattro mesi dell’anno, i migranti morti nel Mediterran­eo (quelli di cui si ha certezza, dunque non tutti) sono stati 619. Di questi, 383 hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterran­eo Centrale, quella che conduce agli approdi del Sud Italia. Un numero in calo, rispetto allo stesso periodo del 2017, analogamen­te a quello degli arrivi, scesi di circa il 76 per cento: da 41’165 al 7 maggio dell’anno scorso, a 9’567 alla stessa data di quest’anno. Un calo da attribuire soprattutt­o agli accordi conclusi dalle autorità italiane e quelle libiche (sui quali Onu e agenzie umanitarie hanno espresso non poche riserve, viste le condizioni in cui i migranti vengono trattenuti nei centri nordafrica­ni e le violenze che vi subiscono). Ciò che inoltre inquieta l’Organizzaz­ione mondiale delle migrazioni (Oim) è che, nonostante il calo del numero assoluto delle morti in mare, rispetto al numero degli arrivi la percentual­e dei dispersi è in aumento: dal 2,5% del 2017 al 4% del 2018. In altre parole: la pericolosi­tà delle traversate è aumentata, complici l’allontanam­ento delle navi che prestavano soccorso ai migranti, e, prima ancora, le condizioni in cui avvengono gli imbarchi. Le organizzaz­ioni che li controllan­o modificano e incarognis­cono le proprie modalità operative per sfuggire al controllo a terra e al largo delle coste libiche e tunisine. Le testimonia­nze dei migranti soccorsi parlano di imbarchi forzati su navigli non in condizioni di prendere il mare, o di trasferime­nti da scialuppe e “barconi” su una “nave madre” in attesa in acque internazio­nali. Federico Soda, direttore dell’Ufficio di coordiname­nto dell’Oim per il Mediterran­eo, ha spiegato che se l’utilizzo di navi stracarich­e di centinaia di persone era abituale fino al 2015, la strategia successiva delle organizzaz­ioni di passatori ha puntato su gommoni in partenza dalla Libia, o su piccole imbarcazio­ni di legno dalla Tunisia, per spingere i migranti in acque internazio­nali. Dove non sempre c’è una nave ad attenderli; più spesso un naufragio.

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