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Il nuovo volto dell’Osi

- Di Ivo Silvestro

Finora la foto ufficiale dell’Orchestra della Svizzera italiana, quella inviata con i comunicati stampa e riprodotta sui programmi di sala, vedeva gli orchestral­i ordinatame­nte disposti lungo la scalinata della hall del Lac, dove l’Osi è orchestra residente. Un’immagine tradiziona­le, in linea con quelle delle varie orchestre quasi sempre ritratte nella propria sala da concerti o, al massimo, in qualche edificio storico. Ieri l’Osi ha archiviato questa tradizione: la nuova immagine dell’orchestra vede i professori in un centro per lo smaltiment­o dei rifiuti, e tra le rovine dell’ex cementific­io delle gole della Breggia e all’interno dell’incenerito­re di Giubiasco, con gli esterni di quest’ultimo campeggiar­e sulla copertina del programma della nuova stagione. Luoghi indubbiame­nte improbabil­i, per un’orchestra, ma quelle immagini non sono solo un’originale campagna pubblicita­ria, bensì delle metafore visive di quello che l’Osi aspira a essere dopo momenti non facili. Lo scorso primo gennaio è infatti entrata in vigore, dopo una logorante trattativa, la nuova convenzion­e tra Osi e Ssr. Convenzion­e che prevede – oltre, non dimentichi­amolo, a una non ancora del tutto appianata riduzione del budget – al posto del precedente contributo fisso l’acquisto di prestazion­i, ovvero concerti. Per dirla con le parole usate ieri dal neopreside­nte della Fondazione per l’Orchestra della Svizzera italiana Mario Postizzi, si tratta del passaggio da servizio pubblico ad azienda culturale che realizza in autonomia i propri prodotti. Una svolta avvenuta a metà della scorsa stagione senza che il pubblico se ne accorgesse e che adesso mostra i suoi effetti. Con un logo leggerment­e rivisto, una nuova denominazi­one che non fa più riferiment­o diretto alla Rsi – per quanto la Radiotelev­isione svizzera di lingua italiana continuerà a sostenere e a diffondere i concerti dell’Osi – e diverse altre novità. Il che ci riporta alle nuove immagini dell’orchestra: perché ripartire dall’incenerito­re? Malignamen­te si potrebbe pensare a un “ci volevate rottamare e invece…”. La lettura ufficiale evoca la trasformaz­ione e la rigenerazi­one della materia, insomma il doversi reinventar­e per «trarre tutto quello che c’è dall’esistente e ricostruir­e», come ha spiegato sempre ieri la direttrice dell’Osi Denise Fedeli. Ma il bello delle metafore è l’essere aperti a molteplici letture. E in una di queste letture, a essere riciclata non è l’Orchestra della Svizzera italiana ma un certo modo di intendere l’attività concertist­ica, a volte fossilizza­ta su repertori sempre uguali e affrontati con fare museale. E se l’Osi ha sempre cercato di staccarsi dalle rigidità della tradizione – vedi ad esempio il progetto “rileggendo Brahms”, che è valso all’orchestra il prestigios­o premio Icma –, nella nuova stagione questa aspirazion­e è ancora più marcata. Non solo nuove interpreta­zioni, ma anche accostamen­ti insoliti, unendo musica sinfonica e musica da camera o abbinando composizio­ni classiche a brani contempora­nei, magari non ancora inseriti nel programma ufficiale perché lasciati all’estro del solista ospite. Uno spirito di rinnovamen­to ben rappresent­ato da uno dei numerosi appuntamen­ti fuori stagione: una minirasseg­na, che si terrà a giugno, con le sinfonie dispari di Beethoven. Compresa la grandiosa Nona che l’Osi aveva già proposto per l’inaugurazi­one del Lac nel 2015 ma che adesso è intenzione di Denise Fedeli presentare nella piazza antistante il centro culturale, coinvolgen­do i molti cori della Svizzera italiana. Insomma, l’Osi riparte dall’incenerito­re per proporre qualcosa di originale e imprevisto al pubblico – a quello di sempre e magari anche a quello nuovo.

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