Un ‘modello Libia’ per Kim
Gli Stati Uniti evocano la fine di Gheddafi per spingere Pyongyang a ‘cedere’ sul nucleare Trump ammette che l’incontro di Singapore potrebbe venire rinviato e insinua un ruolo della Cina nel voltafaccia nordcoreano
Washington – Un’ipotesi, un avvertimento e un sospetto. Più si avvicina la data dello “storico” vertice di Singapore, più l’incontro tra Donald Trump e Kim Jong-un rischia di saltare o di essere posticipato a tempi migliori. Lo ha ammesso ieri lo stesso presidente statunitense, poco prima di ricevere alla Casa Bianca l’omologo sudcoreano Moon Jae-in, ipotizzando con i giornalisti un possibile rinvio del faccia a faccia con Kim. «Se non accade adesso, può accadere anche in seguito», considerato che «c’è una possibilità molto concreta che non accada» entro il 12 giugno, come da programma. L’avvertimento è stato invece formulato da Mike Pence. La Corea del Nord, ha detto il vicepresidente in un’intervista a Fox News, farebbe la fine della Libia se alla fine non si raggiungesse un accordo per lo smantellamento del suo arsenale nucleare. Pence non ha lasciato spazio a dubbi: “Sono fatti”. L’esatto motivo – evitare la fine di Gheddafi che all’atomica aveva rinunciato – per cui Pyongyang rifiuta di farlo. Un rifiuto che insospettisce Trump, pur passato dagli insulti al flirt con Kim in un tempo più breve di una fase lunare. La sua “sensazione”, ha detto, è che l’atteggiamento dell’ex arcinemico sia cambiato dalla sua seconda visita in breve tempo in Cina. In particolare dopo l’ultimo incontro con il presidente cinese Xi Jinping: «C’era qualcosa di diverso dopo che Kim è stato in Cina la seconda volta», ha detto. Aggiungendo di “sperare” che la Cina non stia influenzando negativamente il proprio alleato/protetto. A cercare di rasserenare il clima ha provato Seul. Parlando ai giornalisti sul volo verso Washington, il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Moon Jae-in ha garantito: «Crediamo che ci sia un 99,9% di possibilità che il summit si tenga come da programma ma ci stiamo preparando per molte differenti eventualità». La Corea del Sud – e il presidente Moon in particolare – interpreta così il ruolo da mediatore, ora investito anche del compito di salvare l’incontro, tenendo aperta la possibilità di un accordo giorno dopo giorno meno probabile. Tanto da far temere una débâcle di immagine per Trump, finito in una ipotetica trappola tesagli da Kim Jong-un. Lo stesso Trump è costretto ormai a manifestarsi fiducioso: credo che Kim sia “molto serio” sulla denuclearizzazione, ha concesso il presidente. Se l’accordo sarà raggiunto, Kim “ne sarà estremamente contento. Ha occasione di fare qualcosa di cui essere orgoglioso”. Altrimenti chieda a Pence...