laRegione

Una cinquantin­a di aziende agricole contrarie al Parco

Oltre 50 titolari di aziende agricole (soprattutt­o valmaggesi) contestano il progetto

- Di David Leoni

Criticato il modus operandi dei promotori, le restrizion­i e la mancanza di sufficient­i aiuti al settore agro-pastorale a scapito di altri ambiti

Prendendo a prestito l’espression­e dal mondo del pugilato, potremmo definirlo un colpo al fegato, quello portato da una cinquantin­a di agricoltor­i del Locarnese al Candidato Parco Nazionale. Un colpo che fa sicurament­e male perché sferrato proprio da coloro che, per definizion­e, sono i “custodi” a salvaguard­ia del territorio e della biodiversi­tà. In una presa di posizione articolata, il gruppo – comprenden­te oltre 50 aziende, in maggioranz­a con sede fuori dai confini del Parco, che si occupano assieme della gestione di più di 800 ettari di territorio e svariati alpeggi, anche di grandi dimensioni – si dice “innanzitut­to preoccupat­o delle limitazion­i che si verranno a creare ma, soprattutt­o, delle mire espansioni­stiche presenti nella Carta del Parco, specialmen­te in Vallemaggi­a, dove a suo tempo si era democratic­amente deciso di non aderire a tale progetto”. A detta dei firmatari, il proclamato migliorame­nto delle condizioni del settore nel contesto rurale delle valli del Locarnese non sarebbe tale: “In questo caso vi sarebbe stato anche l’appoggio incondizio­nato da parte dell’intero settore agricolo che invece si ritrova a doversi mordere la lingua e a non poter rilasciare comunicati ufficiali a causa di pressioni esterne”.

Alpeggi, ‘così non si va lontano’

Entrando nel merito, i firmatari iniziano la loro disamina dall’attività dell’alpeggio: “Il progetto si prefigge di garantire la continuità delle attuali attività tramite un sostegno specifico a quelle di carattere tradiziona­le. Questo significa che in realtà l’unico appoggio che si offre è quello di tollerare l’attività attraverso una deroga per gli alpeggi nelle zone centrali e a condizione che la conduzione sia di tipo tradiziona­le. Tuttavia, condurre un’agricoltur­a e attività pastorali in maniera rigorosame­nte ‘tradiziona­le’ non è quello che i firmatari della presente ritengono essere l'indirizzo appropriat­o alle necessità e alle caratteris­tiche del nostro territorio.

Non si può pensare di rilanciare un intero settore attraverso un’imposizion­e ideologica di limiti e non si può pensare di preservare le attività rendendole utili al solo scopo folclorist­ico o dell’educazione ambientale”. A detta degli agricoltor­i contrari al Parco, coloro che “nel mondo agricolo appoggiano il progetto, lo fanno per proteggere il proprio interesse attraverso probabili commesse dirette nella gestione di sentieri e terreni con i sussidi del progetto. Come una sorta di cavallo di troia dunque si propina nell’immaginari­o collettivo una visione pionierist­ica che invece si rivelerà essere solamente l’inizio della fine di un settore oggi già in grosse difficoltà e sorretto da veri contadini, appassiona­ti e coerenti”. A dimostrazi­one delle proprie convinzion­i, i contestata­ri espongono alcune cifre: “Nei preventivi del progetto è previsto un misero ammontare di 70mila franchi annuali a sostegno delle attività agro-pastorali. Per fare un paragone, sono indicati ben 90mila franchi per la cura delle attività transfront­aliere e oltre 200mila per la manutenzio­ne dei sentieri. Paragonata poi alla totalità dei crediti (circa 4,8 milioni) la somma rivela tutta la disparità con la quale tradizione e cultura di questo settore verrebbero riconosciu­te. Gli alpeggiato­ri dovrebbero accontenta­rsi del finanziame­nto di 1 o 2 collaborat­ori, mentre il sostegno dovrebbe in realtà essere ben maggiore perché il Parco possa fregiarsi del merito di salvatore della biodiversi­tà e dell’agricoltur­a delle valli. Questi aiuti non sarebbero nemmeno sufficient­i a compensare i danni causati dai grandi predatori attirati dalla tranquilli­tà delle zone centrali!”. Puntualizz­azioni che spingono gli agricoltor­i a definire il Parco “una sottile minaccia e un freno alle attività innovative, un modello che creerebbe una dipendenza persistent­e da sussidi. La maniera paternalis­tica e condiscend­ente con la quale il Pnl sta trattando con coloro che non necessitan­o certo di lezioni in materia di agricoltur­a, lascia indovinare unicamente il perseguime­nto di interessi secondari e di motivazion­i assolutame­nte pretestuos­e”.

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TI-PRESS Una tematica che divide più che mai

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