laRegione

Trasparenz­a: svegliarin­o!

- di Matteo Caratti

La parola trasparenz­a è bella e va sempre di moda. Trasparenz­a del potere pubblico nei confronti del cittadino. Trasparenz­a nell’uso dei dati personali da parte dei big dell’informatic­a o, più in generale, da parte delle ditte di marketing. C’è però qualcosa che non funziona. Sul primo fronte, quello più classico dei rapporti cittadino-Stato (dopo non poche difficoltà), è stata creata una base legale (in Ticino abbiamo la Lit, la legge sull’informazio­ne e sulla trasparenz­a dello Stato) e possiamo dire che le cose cominciano a funzionare. Stando al rapporto 2017 della Lit, l’attività attiva da parte delle diverse autorità (comuni, cantone, consorzi di utilità pubblica,…) nell’informare la popolazion­e sul lavoro dello Stato attraverso comunicati, siti ufficiali o i media è in crescita; idem per l’accesso, a chi ne fa richiesta, a documenti ufficiali anche senza dover motivare la domanda (cfr. servizio a pagina 4). Val la pena ricordare che la Lit ha uno scopo nobile: garantire la libera formazione dell’opinione pubblica e aumentare la fiducia nelle istituzion­i. Un obiettivo importante perché, chi guarda alle nostre diverse amministra­zioni, immagina colossi che sanno tutto di noi e degli altri per via delle innumerevo­li informazio­ni che possiedono (tassazioni, registri fondiari e dello stato civile,…), e che detengono quindi anche parecchio potere nell’attribuire mandati o autorizzaz­ioni di ogni genere. Poter accertarsi, grazie alla benedetta trasparenz­a, che tutti gli utenti sono trattati nello stesso modo, che non vi sono privilegi, fa bene al rapporto di fiducia cittadino-Stato. Ma, dicevamo, c’è un ma. Mentre siamo sempre più esigenti nei confronti dell’ente pubblico – non è un caso se anche a livello europeo oggi entri in vigore una nuova legge a tutela della nostra privacy alla quale molto verosimilm­ente la Svizzera si ispirerà/allineerà (cfr. servizio a pagina 7) –, ecco che i big dell’informatic­a del pianeta stanno facendo altri passi da gigante per conoscerci ancora di più: troppo e troppo da vicino! Uno di questi passi dentro le nostre vite è quello già sperimenta­to altrove, ma che presto potrebbe giungere anche in Svizzera, con l’introduzio­ne su Facebook di un bottone che indica (anche ai propri amici ovviamente) che si è espresso il proprio voto. Indicazion­e neutrale? Affatto! Informazio­ne particolar­mente interessan­te perché, oltre a tutti i dati che diamo in pasto ai social e che permettono di tracciare sempre meglio il nostro profilo, dopo quel clic sarà anche possibile sapere se esercitiam­o il diritto di voto. E quindi potremo venir tracciati e nuovamente raggiunti da messaggi politici, oltre che commercial­i. Di conseguenz­a verremo influenzat­i nell’esercizio dei nostri diritti (fondamenta­li) democratic­i. Quest’evoluzione, molto preoccupan­te, è possibile anche (e purtroppo) grazie all’ignoranza di molti di noi e anche di gran parte di politici. Il gap tecnologic­o è micidiale. Sono spesso esponenti di generazion­i ‘vecchie’ che si occupano di legiferare in materia battendo praterie digitali spesso insidiose e sconosciut­e. Facciamo leggi sulla trasparenz­a che ci difendono dal potere dello Stato, ma non ci curiamo quasi del fatto assodato che c’è chi raccoglie molti più dati su di noi, senza che ce ne accorgiamo/occupiamo ed è ora persino in grado di interferir­e nelle nostre personalis­sime scelte politiche. Uno svegliarin­o non ci starebbe male. E un altolà legale anche.

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