‘Quelle persone sarebbero state uccise’
“Non sapevo che dovevo chiedere un’autorizzazione”. Comunque, “come avrebbe fatto chiunque in quel frangente, non ho pensato a prendere carta e penna, a inviare una email o a fare una telefonata”. E ancora: “Ciò che mi stava più a cuore era aiutare decine, se non centinaia di persone a evitare una morte sicura”. È quanto ha affermato ieri ai microfoni della Rsi Johan Cosar, il foreign fighter 35enne di Locarno, ex-sergente dell’esercito svizzero e cofondatore della Milizia cristiana, attiva in Siria contro l’autoproclamato Stato islamico. L’uomo, come abbiamo riferito nelle scorse edizioni, è stato rinviato a giudizio di fronte alla giustizia militare. L’accusa: indebolimento della forza difensiva del Paese per aver combattuto in un corpo militare straniero senza le necessarie autorizzazioni del Consiglio federale. A processo anche suo cugino, che dovrà rispondere dello stesso capo d’imputazione. Nell’intervista alla Rsi, Cosar – cresciuto in Ticino e con radici cristiano-siriache – si è difeso dalle critiche e ha spiegato le sue ragioni. Ha ricordato la sua partenza per la Siria nel giugno del 2012. Voleva documentare la situazione della comunità cristiana, finita nel mirino dello Stato islamico: “Mi sono trovato con le strade bloccate e il conflitto che si stava spostando dove si trovavano le popolazioni cristiane. Mi sono mosso d’impulso per prendere in mano le cose e cercare di aiutare quella gente che altrimenti sarebbe certamente stata sterminata”. Un conflitto dove poteva persino risultare difficile capire chi erano i nemici: “Non era facile. La fascia all’interno della quale ho militato è sunnita. Tuttavia, il combattente islamico lo riconoscevi, anche perché molti di loro venivano da fuori Siria”. Alla domanda del giornalista Rsi “ha ucciso?”, Cosar ha risposto: “Mi sono sempre difeso”. Il 35enne ha pure parlato di suo padre, catturato dai servizi segreti siriani nel 2013; da allora di lui non ha più avuto notizie, se non un certificato di morte fasullo e una foto dalla quale non si capisce se è vivo o morto. Nel marzo del 2015 il foreign fighter locarnese era rientrato in Svizzera; fermato su un treno a Basilea era stato condotto in Ticino per essere interrogato. L’inchiesta nei suoi confronti era stata chiusa nell’aprile del 2017 dal giudice istruttore Roberta Arnold. È a piede libero, non essendo stati ravvisati gli estremi per una carcerazione preventiva.