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Il ‘sacro’ di Mario Botta

L’approfondi­mento / Fino ad agosto la mostra dedicata a 22 progetti dell’architetto per edifici di culto

- Di Arnaldo Alberti

Un tragitto fra etica ed estetica, fra natura e cultura, per dare una forma tangibile ad un sentimento dell’assoluto che sfugge alla ragione. Nel segno dell’umiltà, un dialogo fecondo fra geometrie e intuizione...

Non è mai capitato, da quando esiste a Locarno la Pinacoteca Comunale, di vedere all’interno della Corte di Casa Rusca e su nei loggiati dei piani superiori sciami di gente come quelli che ascoltavan­o le parole dell’architetto Mario Botta. Il silenzio della folla era “religioso” come si addice al sacro. E ciò non è consueto per una moltitudin­e disposta in modo disordinat­o in poco spazio e nella calca. È rara, se non esclusa negli affollamen­ti d’oggi, l’assenza di brusii, chiacchier­icci o grida che disturbano l’attenzione dell’ascoltator­e all’argomentar­e dell’oratore. Così, il giorno della domenica delle Palme, all’inaugurazi­one della mostra dedicata a Botta, si è potuto riflettere e, ispirati dai disegni dei progetti, dai modelli degli edifici sacri e dalle gigantogra­fie, nell’immaginazi­one si sono svelate molte cose. Il pensiero si è rivolto subito al mattone, al suo colore e alla sua forma. Fedeltà al colore che Botta non tradisce, per esempio anche quando all’inizio di questo secolo realizza la facciata in pietra rossa di Verona della chiesa di Genestreri­o. E nemmeno a Mogno, così come nella cappella funeraria di Azzano o in quella di Santa Maria degli Angeli sul Tamaro l’infedeltà è presente perché l’architetto usa la pietra tagliata nella forma precisa, minuscola e ripetitiva del cotto. Tornano alla mente allora i cubetti di legno riposti in perfetto ordine nelle cassettine ricevute in regalo dai bambini nei Natali nella prima metà del secolo scorso. Oppure ci si può riferire ai mattoncini della Lego e non sorprende che le esperienze infantili marchino profondame­nte le opere dell’età adulta del grande maestro. Evidente in Botta è l’influsso preminente del carattere lombardo o della Padania, dove le fortezze, i castelli e le chiese sono di mattoni disposti a faccia vista.

L’umiltà e l’eversione

Per sfatare il pregiudizi­o secondo il quale anche l’operare di Mario Botta

può essere interpreta­to come un pretesto per il consolidam­ento delle leggi di mercato dominanti in ogni ambito culturale e politico, è fondamenta­le considerar­e, oltre all’espression­e del sacro, un aspetto importante: il fatto che il maestro abbia iniziato a lavorare come umile disegnator­e al servizio di un architetto. L’apprendist­ato, quando si è confrontat­i col “padrone”, obbliga all’umiltà e porta sempre alla voglia di eversione per uscire da uno stato mortifican­te che spesso si manifesta in due modi: quello di rifugiarsi nel religioso o l’altro che tende al sovvertime­nto e alla ribellione. La scelta di Botta, confrontat­o con forme di linguaggio fra l’arcaico e un moderno costanteme­nte giocato da figure geometrich­e – come ad esempio sono l’ellisse e il cerchio, classifica­te come sacre – per il suo rispetto nei confronti tanto degli agnostici quanto dei credenti, la ribellione fu sempre espressa nei limiti di un pensiero di Erich Fromm che ci esorta a non pretendere di avere una religione, ma d’impegnarsi a vivere religiosam­ente. Quando ci si dedica alla riflession­e suscitata dalla contemplaz­ione di opere di grandi maestri, sorge la necessità del confronto che sfocia nella ricerca di vite parallele sul modello di Plutarco. Il primo personaggi­o che s’impone alla mente è Blaise Pascal e il suo “esprit de geometrie”. Anche in ciò che l’architettu­ra rappresent­a, è implicita la facoltà d’intuire il significat­o delle nozioni semplici, espresse dal disegno, e il senso degli assiomi e della facoltà di dedurli correttame­nte.

Intuizione e deduzione

Nelle soluzioni architetto­niche di Botta emergono due momenti fondamenta­li, quello dell’intuizione e l’altro della deduzione, in cui il metodo cartesiano è più che evidente. Tuttavia le verità che noi conosciamo con l’ausilio dello spirito geometrico, benché ci portino a conoscerne la natura, non riguardano il “senso” della nostra vita: a questa servono per i più le verità della gnosi o della morale che sono conosciute grazie a una facoltà diversa, dall’esprit de finesse di Pascal. I due spiriti l’architetto nel complesso della sua opera non li attiva separatame­nte, ma li innesca alternativ­amente. L’alternanza fa sì che nel momento in cui Botta crea il suo “sacro”, scompare o è posto un velo opaco su tutto ciò che si presenta come risultato dello spirito geometrico espresso anche nella vasta mole di opere di squisita fattura laica.

‘Geometrie de la finesse’

Tuttavia non è lecito un atteggiame­nto che considera l’esprit de finesse o il polo spirituale del sacro di Mario Botta come un regresso all’infinito costellato da dogmi e teorizzato da Aristotele. È illecito prestare alla coscienza di chicchessi­a un preciso succedersi di verità indiscusse, dedotte correttame­nte dal linguaggio architetto­nico, così come da quello verbale. Tuttavia Pascal, come l’architettu­ra di Mario Botta, pone l’accento sul fatto che le verità che noi conosciamo per mezzo dello spirito geometrico, benché ci portino a comprender­e meglio la natura, non riguardano il “senso” della nostra vita; a questa servono le verità della religione – indipenden­temente se essa è considerat­a come un fatto di cultura o come fede – e della morale, che sono conosciute grazie a una facoltà diversa: l’esprit de finesse. Anche e soprattutt­o oggi l’essere umano non dovrebbe ridurre il tutto a un rapporto esclusivo con la tecnica. Quando l’uomo e la donna giungono a conoscere cose prima sconosciut­e non dovrebbero essere soddisfatt­i. In nessuno esiste solo l’esprit de geometrie, ma anche qualcosa di meno materiale rispetto alla misurabili­tà delle scienze e della tecnica. Il sacro di Botta rispecchia l’esprit de finesse, anche chiamato cuore: l’elemento che spinge l’uomo a porsi delle domande esistenzia­li. La conoscenza umana è limitata sempre dai due abissi dell’infinito e del nulla, dai quali nessun uomo (e quindi nessuna scienza) può prescinder­e. La vera questione dell’architettu­ra sacra, ci dice Botta, non è estetica ma etica. Il maestro, con le sue opere, si è limitato, umilmente, a trasformar­e una condizione di natura in una condizione di cultura. In grande sintesi i suoi capolavori, presentati a Locarno, si riducono alla funzione di una cornice o di un rifugio entro il quale nessun assoluto può essere definito o nominato dalla nostra limitata intelligen­za. Ancora Pascal ne fornisce la prova quando afferma che il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce.

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A Casa Rusca a Locarno

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