La fine del garbüi
La compagnia Flavio Sala chiuderà domani a Riazzino la tournée del suo spettacolo
Tra un ‘Alleluja’ per l’accoglienza del pubblico e l’addio al ‘dialetto della ferrovia’, Flavio Sala racconta il piacere del teatro
Il debutto al Teatro Sociale di Bellinzona a febbraio. E adesso, tre mesi e una ventina di rappresentazioni dopo, ‘Un altro bel garbüi’ chiuderà la sua tournée domani, sabato 26 maggio, al Centro scolastico di Riazzino Lavertezzo Piano. Un’avventura teatrale con al centro Flavio Sala, il Bussenghi dei Frontaliers – «ma sono contento che il pubblico mi apprezzi anche se esco dal personaggio», ci spiega –, circondato da giovani e nomi storici della scena dialettale: Sandra Zanchi, Leonia Rezzonico, Orio Valsangiacomo, Giuseppe Franscella, Moreno Bertazzi, John Rottoli e Rosy Nervi.
Allora, soddisfatti della tournée?
Soddisfatti, soddisfati. E per me è stato qualcosa di miracoloso. Perché le prove per la commedia sono iniziate subito dopo il film dei Frontaliers, e tra la stanchezza e alcuni problemi, siamo arrivati io e Gionas Calderari, che è l’autore, a chiederci “chissà se funziona!”: non ero più in grado di valutare la cosa. Per cui quando mi sono reso conto che al pubblico è piaciuta moltissimo, addirittura più di ‘La solita süpa’, è stata una cosa da urlare “Alleluja!”. Dovrò andare alla Madonna del Sasso in ginocchio! Ed è piaciuta anche alla Rsi che l’ha acquistata, per cui è andato tutto benissimo.
L’accoglienza è stata uguale in tutto il cantone? Dopotutto, il dialetto ci unisce ma anche ci divide…
È una cosa su cui abbiamo insistito ancora di più dell’altra volta: ogni attore porta il suo dialetto. Uno dei personaggi principali è Rosy Nervi che è di Biasca e ha fatto in modo di parlare proprio il dialetto di Biasca, scherzando anche con gli altri personaggi quando diventa particolarmente incomprensibile… perché ci sono delle parole che sembrano uzbeko. Il mio è il dialetto momò che accontenta quelli del Sottoceneri… Devo dire che è una soluzione che piace molto: forse la gente si è ritrovata più che con il “dialetto della ferrovia” che su certe cose è un po’ una forzatura.
Sabato si chiude la tournée. E poi?
Stiamo valutando se riprendere o no questo autunno: abbiamo già fatto una ventina di repliche e ogni rappresentazione è un impegno, per una compagnia di professionisti… Poi io starei in giro dalla mattina alla sera a fare teatro, se potessi! Perché è bello il rapporto con il pubblico, incontrarlo dopo lo spettacolo e sapere di aver portato due ore di leggerezza in mezzo a tutta la pesantezza di questo periodo storico…
Ecco: il teatro dialettale è solo svago? Dopotutto qui avete cercato di affron-
tare, pur con leggerezza, temi attuali.
Sì: la disoccupazione, la precarietà del lavoro. Messa all’interno di una storia sentimentale… gli ingredienti soliti di una commedia ma con uno sguardo molto attento all’attualità. È una cosa su cui ho sempre insistito: non possiamo fare teatro, oggi, senza mostrare gente
col cellulare che manda messaggini…
La struttura è comunque rimasta quella classica. In futuro?
Man mano che andiamo avanti la situazione è portata a evolversi. Se prendiamo ‘La solita süpa’, era un genere ‘pochade’ con battute ritmate; questa volta abbiamo messo dei pezzi di commedia musicale, con gag più surreali… e in prova ci chiedevamo: “Ma funzionerà se mi metto a cantare?”. In futuro, vedremo… Abbiamo già un’idea. Ma la compagnia comunque si prenderà una pausa: non vogliamo rischiare di annoiare il pubblico con una commedia all’anno.