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‘Tra cinque anni arriverà anche l’oro. Ne sono sicuro’

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Nel tuo lunghissim­o percorso c’è anche un capitolo dedicato alla Nazionale. Quarantaci­nque partite in tutto, con il momento ‘clou’ dei Mondiali in Slovacchia, era il 2011. Se ti chiedesser­o di paragonare quell’esperienza a ciò che hai visto domenica sera in tivù, tu che diresti? «Che quell’argento è il frutto del lavoro che è stato fatto in tutti i settori giovanili del Paese – continua Gobbi –. Pensiamo solo a quanti sono i giocatori svizzeri che giocano regolarmen­te in Nordameric­a, ed è ciò che spinge verso l’alto la qualità del nostro hockey. Trovo che ad Ambrì, Lugano, Losanna e in tutte le altre realtà si stia facendo un grande lavoro di base. Perché per una piccola realtà come la nostra, non è poco avere tredici giocatori schierati ogni sera in National hockey league. E crescerann­o ancora, immagino fino ad arrivare un giorno a un numero sufficient­e da riuscire a formare una squadra intera. Non dico che le due medaglie d’argento in cinque anni siano un qualcosa di scontato, ma che sono il sunto del grande lavoro fatto nei club e a livello di Federazion­e. Per me, tra cinque anni la Svizzera riuscirà infine a mettersi quell’oro al collo. Ne sono sicuro. Perché ci avviciniam­o sempre di più, e lo facciamo lavorando bene. E quando si lavora bene i risultati arrivano». Quindi quella di domenica sera non è stata una grande occasione sprecata? «No. Anche perché, se siamo onesti, dobbiamo dire che se fosse stata attribuita ai punti, la vittoria sarebbe andata agli svedesi. Detto ciò, è stata una partita completame­nte diversa rispetto a quella di Stoccolma 2013: allora la Svezia dominò». E si permise pure di chiudere con uno stucchevol­e siparietto, quando tutti gli scandinavi seduti in panchina indossaron­o un casco color oro ancor prima che finisse la partita. «Ma non si trattò di una provocazio­ne: credo sempliceme­nte che stessero celebrando a modo loro il Mondiale vinto in casa propria, pur mancando forse di un po’ di tatto. Domenica a Copenaghen, invece, erano decisament­e molto più nervosi. A dimostrazi­one, appunto, di quanto siano state diverse tra loro quelle due finali». C.S.

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TI-PRESS/PUTZU In rossocroci­ato

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