Babilonia a Berlino: ‘Fantasie politecniche a base di birra’
Saranno le analogie col presente. Sarà il fascino di una realtà che “danza sull’orlo di un vulcano”, come scrisse lo storico Peter Yale. Fatto sta che cresce l’attenzione per la Berlino degli Anni Venti, prima vera città-mondo. Lo sa bene il germanista Luigi Forte, che ne fa l’inventario in ‘Berlino città d’altri. Il turismo intellettuale nella repubblica di Weimar’ (Neri Pozza 2018). Un saggio che risente delle sue ambizioni enciclopediche, ma costituisce comunque un’utile guida bibliografica. D’altronde lo dice già l’epigrafe iniziale, rubata a Franz Hessel: “Citare significa evocare gli spiriti”. Ed è proprio attraverso un ubriacante susseguirsi di citazioni che Forte ci lascia sfiorare la metropoli (o meglio ‘Metropolis’, per dirla col titolo del film perfetto, quello di Fritz Lang). Una città “condannata a diventare, mai a essere” (Karl Schaffer), in cui “ci si sente come in un delirio febbrile. Ecco un tempio assiro accanto a una casa patrizia di Norimberga, più oltre un pezzo di Versailles, poi reminiscenze di Broadway, d’Italia, d’Egitto – spaventosi parti prematuri nati da fantasie politecniche a base di birra” (Walther Rathenau). Un po’ quello che si prova oggi passando da Alexanderplatz (titolo di un capolavoro di Döblin, Joyce degli ultimi). E poi ci sono Brecht (“di queste città resterà: il vento che le attraversa”), Walser, Kafka, gli oxfordiani in trasferta Isherwood e Austen, Benjamin e i russi di Charlottenburg, perfino i futuristi italiani. Ma il neofita può anche partire meno in salita. Per esempio sfogliando l’archivio fotografico di August Sander, di cui molto si trova online. Gli spendaccioni possono procurarsi il suo ‘People of the 20th Century’ (Schirmer/Mosel 2013), quattro chili di retrospettiva quasi definitiva: espressioni spettinate di bohémien; madri e ragazzini dei quartieri poveri simili ai loro contemporanei americani, pensate a Dorothea Lange; grassi borghesi che sembrano pescati dai quadri di Otto Dix; e ancora reduci, bande jazz, acrobati del circo. Se invece anche il percorso dal divano alla libreria è troppo faticoso, ci si può affidare alla nuova serie tv ‘Babylon Berlin’ (Sky/Ard): storia di un reduce-detective cocainomane e della sua inarrestabile assistente, alla caccia di pornografi in un mondo di night club e gangster, miseria e champagne. Tratta dalla saga letteraria di Volker Kutscher (Feltrinelli 2017), è costata 50 milioni di franchi: la serie tv più cara mai realizzata in una lingua diversa dall’inglese. Magari le ambizioni internazionali la rendono un po’ edulcorata, ma l’effetto ‘viaggio nel tempo’ c’è tutto. L.E.