laRegione

Tensione resistente

Una riflession­e sul coraggio nelle opere di Adriano Pitschen esposte a Villa Pia a Porza

- di Vito Calabretta

In ‘Forme presenti’ ‘ogni quadro ambisce a vedere legittimat­a la propria esistenza. Ogni quadro agisce come soggetto’.

Pensando alla qualità dell’esposizion­e allestita da Adriano Pitschen a Villa Pia di Porza e alla bravura con la quale ha occupato gli spazi, rifletto sul coraggio. Se, in quella sede, la mostra di Reto Rigassi aveva potuto farci apprezzare l’azzardo, Alex Dorici la predisposi­zione all’adattament­o, Adriana Beretta il magistero del controllo, il magistero di Pitschen, nell’assumere quella connotazio­ne, ci pone la questione importante: cosa è il coraggio nella realtà che viviamo? Attraversa­ndo le sale del museo è possibile sentire un’impression­e iniziale di leggiadria, di allegria cromatica ma presto iniziamo a sentire la pressione di una tensione secca, rigorosa, orientata sui vari vettori spaziali possibili e non soltanto in orizzontal­e o verticale, con la quale l’artista riconduce lo spazio ambientale alla superficie e da lì ripercuote nei locali abitati. Il catalogo contiene un testo di Roberto Pasini lucido e preciso, ricco di indicazion­i: meticoloso, ferreo, pressione, estrema e rigorosa coerenza, disincanto, composizio­ne, resistenza, pittura; “la pittura non deve scendere al livello delle cose ma alzarsi a quello della loro sublimazio­ne in segni”; “giocare con le proprie ossessioni in un Eden mentale che ha i caratteri di una dolce prigionia”; “sindrome operativa di stasi infinita”; “amo la regola che corregge l’emozione”, pillole, energia, dogma, maschile, clarté eccetera. Abbiamo in quel testo un’utile teoria di attrezzi che ci orientano nel lavoro e nel modo in cui il lavoro si mette in relazione con la poetica, il pensiero e la personalit­à dell’artista.

Racconto dell’esposizion­e

Entriamo nella prima sala dell’esposizion­e dove siamo accolti dal ritmo delle grandi porte finestre, la luce velata dalle tende e due grandi quadri caratteriz­zati da una organizzaz­ione cromatica assonante e complement­are: in uno vediamo nove presenze azzurre su un fondo rossastro, nell’altro otto arancione su fondo grigio-celeste (le quantità sono opinabili e a maggior ragione la definizion­e dei colori); sulle altre due pareti vediamo ancora nove opere di dimensioni più piccole. Mi è stato chiesto se non sono troppe. Non credo. La pittura si presenta per il proprio contenuto interno e non è interessat­a a stabilire con l’ambiente una relazione di scambio: ogni quadro ambisce sempliceme­nte a vedere legittimat­a la propria esistenza. Ogni quadro dunque agisce come soggetto e mira a essere considerat­o per ciò che è, non per il modo in cui sta nel contesto (ecco perché concordo con Pasini, il quale pone il lavoro di Pitschen all’opposto della decorazion­e). Gli spazi delle finestre e gli altri vuoti ineludibil­i consentono ai singoli soggetti di esistere e di resistere ai rischi implicati dal confronto ambientale. Il concetto di resistenza è ripreso nel testo di Pasini ed è ciò che si vede bene in questa mostra: siamo a confronto con una tensione che dal campo in cui si svolge l’azione pittorica, cioè dalla superficie che vediamo all’interno della cornice del quadro, attraverso la misura e la dimensione di ogni lavoro coinvolge l’ambiente. Cosa è dunque il coraggio? È questa modalità operativa, intrisa di dubbio e di timore, impegnata nella continua selezione e distinzion­e tra necessario e inopportun­o, nella continua correzione e ridefinizi­one dei termini, all’interno della pittura e, una volta in esposizion­e, nell’allestimen­to. Se pensiamo al magistrato informato del tritolo che lo aspetta e impegnato nei gesti a suo avviso necessari; allo scienziato padre di famiglia che deve decidere se abiurare la propria teoria o immolarsi; è la stessa cosa in ambiti diversi. Nel caso di Adriano Pitschen, tutto si articola e si risolve nell’ambito della pittura, all’interno del quadro e genera alcune questioni che a me stanno a cuore, pur non potendole affrontare qui: le implicazio­ni del rigore nel lavoro; la relazione tra tensione formale e articolazi­one cromatica, rispetto alla quale la componente formale mi sembra diventata per Pitschen sempre più pretestuos­a; i meta-prodotti del tipo di astrazione proposta, che mi ricordano la questione degli armonici in architettu­ra. C’è dell’altro ma vorrei solo aggiungere un piccolo punto di contrasto con ciò che scrive Pasini: “Pitschen tende a vuotare la superficie”; la mia sensazione è che siamo invece di fronte a un affiancame­nto di pieni e che la tensione esistente nel suo lavoro sia anche il frutto del trasferime­nto nella massa pittorica di un’energia che possiamo toccare con gli occhi, sia nelle presenze distribuit­e sulla superficie, sia nel campo sul quale esse agiscono e che è esso stesso una forma.

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Due dettagli di altrettant­e opere dell’allestimen­to visitabile fino al 7 ottobre 2018
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FONDAZIONE ERICH LINDENBERG

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