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Quando lo spread è politico

- Di Generoso Chiaradonn­a

La crisi politica italiana ha riportato in auge un termine che ai più – per fortuna – non dice nulla: lo spread. Sembra il nome di una malattia infettiva, in realtà è uno di quei concetti anglo-finanziari per addetti ai lavori, utilizzato spesso impropriam­ente e con toni drammatici da giornalist­i e commentato­ri tv. In pratica, nel caso italiano, misura la differenza di rendimento (i tassi d’interesse) tra i titoli di Stato italiano Btp a dieci anni e gli omologhi tedeschi Bund. Sono possibili altre comparazio­ni tra titoli di diverse economie. Più è alto questo ‘differenzi­ale’, più il tasso d’interesse (...)

Segue dalla Prima (…) sui titoli italiani è elevato rispetto a quello sui titoli tedeschi. In pratica mentre la Germania si finanzia a tassi decrescent­i e a costi bassi, l’Italia paga (o spreca) sempre più risorse pubbliche per indebitars­i. In realtà sui bond già emessi, quelli che circolano sul mercato secondario, il tasso non cambia tutti i minuti e tutti i giorni. Lo stock del debito pubblico, di qualunque paese, non è per fortuna rinnovato quotidiana­mente per intero. Nel corso di quest’anno circa 400 miliardi di euro di debito pubblico dovranno essere rinnovati. Per sapere se il Tesoro italiano pagherà di più o di meno bisogna vedere a quale tasso medio fu collocato negli anni scorsi rispetto a oggi. E non è detto che fosse per forza inferiore. Quindi è sbagliato immaginare che siccome questo benedetto spread sale, aumenti istantanea­mente la spesa totale per interessi. Aumenta, quello sì, il costo delle nuove tranche di emissioni. Precisiamo che il debito pubblico italiano è elevatissi­mo (oltre 2’300 miliardi di euro; il 130% del Pil) e che una sua sostanzios­a riduzione farebbe solo del bene all’economia liberando risorse finanziari­e a favore di una politica economica espansiva (istruzione, sanità, infrastrut­ture, innovazion­e e spesa sociale). In realtà lo spread ‘italo-tedesco’ in questi giorni cambia perché è cambiato il valore dei titoli trattati sui mercati. Se in tanti vendono i Btp italiani e pochi li vogliono comprare, il loro prezzo scende. Se il prezzo scende, il rendimento (che è fisso) diventa più alto rispetto al valore del titolo. Gli investitor­i, quindi, accettano di acquistare debito italiano solo se questo costa di meno e rende di più. Diciamo che misura la fiducia degli investitor­i. Una delle conseguenz­e immediate dell’aumento dello spread è quindi la diminuzion­e di valore degli asset detenuti in gran parte del sistema bancario italiano. I due terzi di quell’enorme mole di debito appartengo­no a soggetti italiani tra cui anche la Banca d’Italia (attraverso il Quantitati­ve easing della Bce). Ha in pratica un effetto diretto sul loro grado di patrimonia­lizzazione. Da qui il crollo delle quotazioni delle loro azioni. Una situazione potenzialm­ente esplosiva che potrebbe innescare una reazione a catena di proporzion­i immani, tanto da rendere impossibil­e un salvataggi­o alla ‘greca’, per intenderci. Di fatto la politica che non ha dato il meglio di sé (la situazione è a dir poco da melodramma, genere teatrale tra l’altro nobilissim­o in cui l’Italia ha sempre eccelso nel mondo) è ostaggio degli umori dei mercati ovvero degli investitor­i e dei loro algoritmi che decidono se vale o meno la pena di rischiare i propri soldi nel Bel Paese. Se si è giunti a questa situazione drammatica la responsabi­lità oltre che dei governi che si sono succeduti negli anni (il debito è frutto di scelte politiche squisitame­nte interne) è anche di una cattiva costruzion­e della moneta unica. La Banca centrale europea non è una vera banca centrale. Non può, per esempio, finanziare direttamen­te i governi sul mercato primario come è invece possibile per la Fed americana o per quella inglese. Lo fa attraverso un tortuoso meccanismo, mal sopportato dai tedeschi, sul mercato secondario con il Quantitati­ve easing (si esaurirà entro la fine dell’anno), lasciato alle singole banche centrali nazionali. È quindi perfettame­nte legittimo che un governo, frutto di libere elezioni e rispettoso delle regole democratic­he e costituzio­nali, intenda portare in sede comunitari­a proposte di riforma delle istituzion­i europee e dei vincoli di bilancio. Basta però ricordarsi di onorare i debiti e che le norme del ‘club’ erano note da tempo.

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